Pubblicato: Domenica, 30 Giugno 2024 - Marco Caroni

ROMA (storie & metallo) - Ribelle per indole, eretico per vocazione. Fino al 2000 quando, 400 anni dopo le fiamme di campo de' Fiori, Giovanni Paolo II espresse "profondo rammarico" per la morte per mano della Santa Inquisizione

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Troppo, troppo avanti, troppo visionario, troppo rivoluzionario. Troppo aperto, troppo in anticipo, decisamente troppo. Così tanto "troppo" da rifiutare per principio e "tigna" l'abiura alle sue idee, al suo pensiero, alla sua dottrina. Decisamente troppo.

Talmente troppo che per 400 anni la figura di Giordano Bruno, arso a campo de' Fiori il 17 febbraio 1600 sotto Papa Clemente VIII (Ippolito Aldobrandini, zio di quel cardinale Pietro Aldobrandini che volle l'omonima villa simbolo di Frascati) ha rappresentato una scomoda anomalia, un fastidioso incidente di percorso come però magari nella storia della Santa Inquisizione troppi ce ne sono stati.

Troppo anomala la sua "eresia" da costringere il più lucido ed illuminato Papa dell'era contemporanea - senz'altro il più "politico" - ben 400 anni dopo, il 18 febbraio 2000 ad esprimere dispiacere per la fine del pensatore naturalista rinascimentale. La morte di Giordano Bruno "costituisce oggi per la Chiesa un motivo di profondo rammarico" ebbe a scrivere Papa Giovanni Paolo II durante l'anno Giubilare in una lettera letta dal cardinale segretario di Stato Sodano in un convegno a Napoli. Proprio quella Napoli nella cui provincia, Nola, Bruno era nato nel 1548.

Anomala l'eresia di Giordano Bruno, trascendente naturalista, teorico dell'infinito e di un Dio - né protestante né bizantino - che considerava altrettanto infinito. Anomala l'eresia e decisamente "troppo oltre" il filosofo e frate domenicano, se è vero che lo stesso Clemente VIII vietò le torture per lui, dopo che Bruno aveva rinunciato all'abiura delle sue dottrine. Il che, come storia insegna, gli costò il rogo.

Sorte che invece un altro gigante dell'epoca, Galileo Galilei, riuscì ad evitare qualche anno dopo, nel 1633, rinnegando anni ed anni di studi e soprattutto il suo pensiero illuminato. Rinunciò a confutare le dottrine bibliche, Galileo, ma al termine del celebre processo concluso con la condanna e dunque con l'abiura delle sue teorie eliocentriche sembra abbia pronunciato la celebre frase "eppur si muove", riferendosi chiaramente alla Terra che ruota attorno al sole.

La riabilitazione di Galileo avvenne in due fasi: prima, tra il 1820 ed il 1822 ad opera di Pio VII (Barnaba Chiaramonti) che sdoganando definitivamente la teoria eliocentrica diede il via libera ai testi che la sostenevano. La seconda fase, molto più recentemente, nel 1992 quando ancora Papa Giovanni Paolo II il 31 ottobre di quell'anno aveva detto che era stato un errore condannare Galileo. Della serie: meglio tardi che mai.

Giordano Bruno e Galileo Galilei, costretti a pagare il durissimo scotto di chi alla Santa Inquisizione era riuscito invece a sfuggire e che con le 95 tesi affisse sulla porta della chiesa del castello di Wittenberg aveva provocato la Riforma: Martin Lutero. Travolti nel pieno del periodo della "Controriforma" della Chiesa, i due liberi pensatori italiani ebbero a pagare il durissimo scotto: il primo, come visto, addirittura con la vita.

Giordano Bruno era troppo avanti e predicando in mezza Europa, confutando alcune delle "verità" bibliche rendendo, con le sue teorie (vere) non solo Dio infinito ma infinito anche l'universo da lui creato, aveva inevitabilmente attirato le attenzioni della Chiesa e dell'Inquisizione. Fatale per lui furono però anche i dubbi espressi in merito alla Trinità. Troppo, davvero troppo per rischiare altri strappi in una Chiesa in difficoltà "d'immagine" e di "sostanza", a pensare ai milioni di fedeli persi e passati al luteranesimo nei decenni precedenti.

Ma pur bruciato vivo e, pare, con un giogo in bocca che gli evitasse di parlare, il filosofo (ma anche artista e soprattutto autore di testi per lo più mai del tutto andati perduti) Giordano Bruno avrebbe lasciato dietro di sé una memoria ed una eredità intellettuale estremamente rilevante.

Roma, Giordano Bruno non ebbe mai a dimenticarlo. Fu per questo, ma anche certamente per il clima fortemente antipapale che aveva pervaso la fresca Capitale del Regno d'Italia ma anche perché la figura di Bruno era molto cara alla massoneria, che nel 1876 - dunque ben prima delle parole di Papa Wojtyła - un comitato di studenti dell'Università di Roma guidati dai liberal-radicali Adriano Colocci e Alfredo Comandini diede vita ad una prima raccolta fondi finalizzata alla realizzazione di un monumento proprio in campo de' Fiori. Un comitato che non ebbe grande successo, che non raccolse il consenso dei professori e neanche della politica romana in quegli anni in mano ad una Amministrazione filoclericale. Nel 1884 un altro comitato studentesco aveva rilanciato la raccolta fondi. Un comitato più sostenuto al quale, tra i tanti, avevano aderito anche Victor Hugo e Giousè Carducci; i soldi raccolti in questi anni permisero ai due comitati di affidare allo scultore Ettore Ferrari la realizzazione della grande statua bronzea che ancora oggi domina la piazza nel cuore di Roma. Il monumento venne inaugurato in pompa magna il 9 giugno 1889.

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A favorire la definitiva realizzazione del monumento, realizzato dal Ferrari, fu anche e soprattutto il cambio del "colore" dell'Amministrazione comunale di Roma che nella primavera 1888 vide sconfitta la parte filoclericare che, ovviamente, si era schierata contro l'opera. Tredici anni di lotte e di scontri tra favorevoli e contrari. Quel giorno sarebbe valso anche e soprattutto come una conta, effettuata casa per casa, censendo le finestre aperte sulla piazza - in segno di favore verso l'opera e dunque di implicita contrarietà al potere ancora strisciante della Chiesa - e quelle chiuse. Quella mattina però sotto il caldo sole romano non era presente alcun rappresentante del Governo: né Crispi (massone), che pure era stato un fautore del monumento, né nessuno dei suoi ministri. Presente in piazza, invece, il massone Ernesto Nathan, futuro Gran Maestro del Grande Oriente d'Italia e futuro apprezzatissimo sindaco di Roma.

Fortemente ebbero comunque a protestare contro il Governo italiano Papa Leone XIII (ormai sul soglio di San Pietro da 11 anni, primo pontefice in cattivitàm assoluta) ed il suo cardinale segretario di Stato Mariano Rampolla del Tindaro.

Di fatto, quella giornata del 1889 sembrò segnare quasi definitiva laicizzazione della Città Eterna e del Regno d'Italia.

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Il monumento, celeberrimo, comprende la bellissima statua bronzea di Giordano Bruno, posizionata nel punto in cui fu arso in quel lugubre 17 febbraio del 1600, con lo sguardo severo rivolto verso il Vaticano. Sul basamento marmoreo si trovano 8 medaglioni che rappresentano Paolo Sarpi e Tommaso Campanella, Pietro Ramo e Giulio Cesare Vanini, Aonio Paleario e Michele Serveto, John Wyclif e Jan Hus, tutti personaggi il cui libero pensiero fu osteggiato dalla Chiesa nel corso dei secoli.

Da sempre il monumento, nato in quegli anni decisamente non banali rappresenta un simbolo di libertà di pensiero e di espressione.

LA MEDAGLIA - La medaglia, bellissima e fortemente evocativa (60 millimetri di diametro per 86 grammi, nella versione in brozo qui proposta) riproduce al dritto la statua bronzea del filosofo campano così come realizzata da Ettore Ferrari. Al rovescio, una lunga iscrizione che racconta proprio la genesi realizzativa dell'opera fissando nel metallo il complicato iter durato ben 13 anni.

L'opera, realizzata in 205 esemplari nella versione in bronzo, appena 4 (conosciuti) in quella in argento e, sembra, 1 sola in oro, è stata incisa da Luigi Broggi.

Si tratta senza dubbio di un conio non solo di pregevole fattura e di fortissima carica simbolica oltre che di una medaglia dall'immenso fascino.

 


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