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NEMI (attualità) - Presenti le autorità cittadine
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Il primo Maggio di ogni anno per il paesino delle fragole, dei fiori e del Lago è sempre un momento di festa, e soprattutto di ringraziamento. Ieri mattina si è tenuta come sempre la celebrazione nella Chiesa Parrocchia Santa Maria del Pozzo per la ricorrenza dei Santi Patroni Filippo e Giacomo.
Alla presenza del vescovo di Albano Vincenzo Viva, che ha celebrato la Messa, delle autorità civili e militari con la presenza della Polizia Locale con il comandante Gabriele Di Bella, i Carabinieri della locale stazione con il comandante maresciallo Domenico De Rosa, gli agenti del Commissariato di Polizia di Genzano, dell'amministrazione comunale, rappresentata dall'assessore Pietro Pazienza e altri consiglieri comunali, del parroco don Andrea De Matteis e altri ospiti religiosi e laici.
" E' stata un espressione di forte devozione popolare che si ripete di generazioni in generazioni, che con i sogni, le speranze e una vita fatta di lavoro e sacrificio hanno edificato Nemi", è stato scritto sulla pagina social della Parrocchia nemese.
A causa del maltempo non si è potuta tenere la prevista processione lungo il Borgo Antico e altre iniziative all'aperto sono state annullate. Si sono tenute invece quelle al chiuso organizzate presso il Castello Ruspoli in piazza Umberto Primo, per la gioia di grandi e piccini. Sono intervenuti come tutti gli anni la Confraternita del Santissimo Sacramento, per la buona ed edificante musica il complesso musicale "Borghesiana" e per il canto il Coro "Armonia Mundi" .
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- Scritto da Fabrizio Giusti
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ACCADDE OGGI – Il 2 Maggio del 1519 muore a ad Amboise il genio che ha attraversato i secoli
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Un genio che usciva dalla porta del Medioevo e proiettò l’uomo in un universo sconosciuto e mai immaginato prima.
Questo era Leonardo da Vinci, che ebbe una vita piena di invenzioni, intuizioni, opere, concetti e pensieri che hanno influenzato le generazioni future in modo fecondo e costante. Fu insieme scienziato architetto, pittore, scultore, disegnatore, scenografo, anatomista, botanico, ingegnere e progettista. Un compendio di intelligenza che ancora ci sorprende e ci influenza, portandoci il messaggio della curiosità e della ricerca.
INIZIO - Nato tra Empoli e Pistoia, sabato 15 aprile 1452, nel borgo di Vinci, Leonardo di Ser Piero d'Antonio era figlio del notaio Piero e di Caterina, una donna di Anchiano che sposerà poi un contadino. Nonostante fosse figlio illegittimo, venne accolto nella casa paterna e allevato con affetto. A sedici anni il nonno, Antonio, si spense e tutta la famiglia si trasferì a Firenze.
Leonardo era acuto e artisticamente precoce. Entrò così nella bottega di Andrea Verrocchio, pittore e scultore orafo di eccellenza. Un maestro da cui il giovane artista imparò tanto di quello che gli servirà anche per il futuro. Tra gli allievi del Verrocchio figuravano nomi che sarebbero diventati i grandi maestri: Sandro Botticelli, Perugino, Domenico Ghirlandaio. Una bottega di un'attività poliedriche, dalla pittura alle varie tecniche scultoree, dove la pratica del disegno portò tutti i collaboratori a un linguaggio comune, tanto che gli storici hanno spesso dibattuto sull'attribuzione delle opere uscite dal questo contesto.
La personalità artistica di Leonardo si sviluppò in questi anni. Egli possedeva una curiosità senza pari, tutte le discipline artistiche lo attraevano, osservava i fenomeni naturali. Cercava l’ingegno, la spiegazione delle cose e annotava, con la sua insolita scrittura speculare, spesso dall’ultimo foglio al primo.
Nel 1480 entrò a far parte dell'accademia del Giardino di S. Marco sotto il patrocinio di Lorenzo il Magnifico. Tra quelli del Verrocchio e le sue nuove esperienze il maestro lascia in eredità, di suo pugno o in collaborazione, opere come il Battesimo di Cristo, Madonna Dreyfus, Madonna del Garofano, l’Annunciazione, l’Adorazione dei Magi.
MILANO - Affascinato dal ducato milanese, già popoloso, produttivo, aperto alle novità tecnologiche, cercò nuova fortuna, a 30 anni, nel 1482. Si presentò con una lettera che somigliava ad un curriculum in cui descrisse le sue attitudini di ingegnere civile, costruttore di macchine belliche e pittore al Duca di Milano, Lodovico Sforza. Nel 1489-90 preparò le decorazioni del Castello Sforzesco di Milano per le nozze di Gian Galeazzo Sforza con Isabella d'Aragona mentre, in veste di ingegnere idraulico, si occupò della bonifica nella bassa lombarda.
Il Duca di Milano voleva che la città diventasse la più bella d’Italia. Leonardo, pur in un contesto di una corte dinamica, era un uomo impenetrabile, in fondo introverso. Non mangiava carne, non veniva mai visto in compagnia di donne. Della grande mole di lavori ipotizzati, progettati ed effettivamente eseguiti, sono di questo tempo dei magnifici ritratti che hanno cambiato il modo di intendere il rapporto con lo spettatore.
La seconda metà del 1400 per l’Italia è un’età fortunata, sopratutto dopo la Santissima Lega Italica, ovvero l’alleanza conclusa a Venezia il 30 agosto 1454, alla quale avevano aderito la Repubblica di Venezia, Milano e Firenze.
Proclamata il 2 marzo 1455 con l'adesione di papa Niccolò V, di Alfonso V d'Aragona e di sovrani di altri Stati minori, sancì il reciproco aiuto in caso di attacco all'integrità di uno degli stati membri ed una tregua di 25 anni fra le potenze italiane che si impegnarono a rispettare i confini stabiliti.
E’ in questo momento storico che gli Stati decisero dunque di non combattersi più, e il mecenatismo e l’arte iniziarono di conseguenza a sostituire le macchine da guerra. La libera circolazione degli artisti fu favorita dall’apertura delle frontiere. E Ludovico, a Milano, era uomo che ama circondarsi di lusso e bellezza, e voleva fare del suo territorio anche la capitale della moda e dell’eleganza. Un’idea che metterà basi solidissime anche qualche secolo dopo.
Leonardo lavorò ai costumi e alle scenografie per le rappresentazioni di corte che qui non mancavano. Ludovico aveva la fama di grande seduttore e amante, prima e dopo matrimonio il matrimonio con Isabella D’Este. Passioni ed amori che investiranno anche l’arte del maestro di Vinci.
‘La Dama con l'ermellino’, ad esempio, è un dipinto databile al 1488-1490. La donna ritratta è quasi sicuramente Cecilia Gallerani, favorita di Ludovico, mentre ‘La Belle ferronniere’, perfettamente compatibile con altre opere degli stessi anni, è attribuibile, secondo molti studiosi, ad un’altra delle donne del Duca: Lucrezia Crivelli. Come il ‘ritratto del musico’, sono tutte opere che riflettono gli intensi studi di ottica di quel periodo, evidenti nel dettaglio del riverbero del vestito rosso sulla guancia dell'enigmatico volto della Ferronniere. La denominazione con cui il dipinto è universalmente noto ("la bella moglie di un mercante di ferramenta") è dovuta a un errore di catalogazione. "Ferronnière" si riferisce infatti al nastro o catenella con gioiello cinge la fronte della donna. Un quadro tridimensionale, che fa ruotare il personaggio come fosse un essere vivente o una scultura.
Nel 1495 Leonardo inizia l’affresco del Cenacolo nella chiesa Santa Maria delle Grazie. E’ il primo atto della pittura moderna, come è stato definito, dove le emozioni animano la creatività. Un incredibile ‘fermo immagine’ che immortala le emozioni e le reazioni congiunte ad una frase del Cristo nell’Ultima Cena: “Uno di voi mi tradirà”.
Qui l’espressività prende forma e diventa viva, in un moto dell’animo che cambia ogni prospettiva psicologica. E’ un affresco che risente di una tecnica che doveva essere veloce e mal si rapportò, alla lunga, in un ambiente male esposto, umido, vicino alle cucine del convento. Il Cenacolo, infatti, iniziò a deteriorarsi piuttosto presto. Già Leonardo ne notò le prime crepe. Ma è un’opera, tuttavia, che prese movimento e parola. Un fatto nuovo. Ed anche se il degrado fece dire all’arcivescovo Francesco Borromeo, nel seicento, che il grande murale poteva essere denominato ‘reliquiae fugientes’, e una porta venne realizzata cancellando i piedi del Cristo, sono stati poi gli uomini contemporanei a salvare questo patrimonio artistico con una preziosa opera di restauro che è riuscita a ritrovare i colori di una grande invenzione che appare come un’impronta sensazionale nella storia dell’umanità, colta in un episodio di interrelazione profonda, così come è nella religione il legame tra l’ultima cena e la religione cristiana.
A Milano Leonardo progetta chiese, palazzi, disegna la pianta di una città che immagina posta su due livelli: sopra la vita, sotto lo scambio delle merci in una osservanza igienica ove gli spazi economici, sociali e politici trovano una loro organizzazione.
E’ quella Milano dove a San Satiro il Bramante aveva già inventato il suo coro prospettico racchiuso dentro pochi centimetri. Un gioco imprevedibile e sensazionale, un incredibile lampo di genio e di tecnica che Leonardo ammirava e guardava come fonte di ispirazione.
Ma Leonardo è anche un uomo affascinato anche dall’architettura e dall’anatomia. La storia di uno dei disegni più famosi del mondo, il suo ‘uomo Vitruviano’, inizia nell’antica Roma, quando un celebre teorico dell’architettura, Marco Vitruvio Pollione, aveva scritto ‘De architectura’, trattato in cui si offriva una panoramica completa sull’arte dell’architettura. Vitruvio affermava che non poteva esistere un tempio che non fosse regolato da principî di armonia, ordine e proporzione tra le varie parti della costruzione. Lo stesso valeva per il corpo umano. Così da quel canone, nacque l’uomo Vitruviano, un essere perfetto all’interno di due figure geometriche, il cerchio e il quadrato. La Terra e l’Universo. E l’uomo che vi entrava con naturalità, stabilendo un contatto con le due figure in maniera del tutto proporzionale. La sintonia e la perfezione.
VERSO LA FRANCIA - Nel 1499 Leonardo fuggì da Milano perché invasa dalle truppe del re di Francia Luigi XII. Riparò a Mantova, poi Venezia. Nel 1503 andò a Firenze. Inizia qui il capitolo de 'La Gioconda', il quadro più famoso al mondo, una eccellenza di stile, talento e tecnica dello sfumato che nella sua filosofia narra, in fondo, compiacimento dell’esistenza in un paesaggio che si esalta in tutti i suoi elementi e in perenne trasformazione. Opera iconica e per molti enigmatica. Il sorriso del soggetto ha ispirato pagine di critica, letteratura, studi psicoanalitici. Un furto rocambolesco, quello dell’italiano Vincenzo Peruggia, nel 1911, ne alimentò la leggenda.
Nel 1513 il re di Francia, Francesco I, invita Leonardo ad Amboise. Qui l’artista si occuperà dei progetti per i festeggiamenti e proseguirà con i suoi progetti idrologici per alcuni fiumi. Qualche anno dopo scrisse il il suo testamento. Francesco Melzi fu il suo erede intellettuale, colui che raccolse il ‘Trattato della pittura’, raccogliendo i suoi fogli e i suoi appunti. Leonardo ebbe anche altri allievi. Tra questi Boltraffio, D’Oggiono, Gian Gacomo Caprotti, detto il ‘Salaj’, figura controversa ed irrequieta che lo seguì fino all’ultimo e gli fece da modello e assistente.
In Francia Leonardo portò con sé alcuni quadri: la Gioconda, da cui non si separava mai, il giovane Giovanni Battista, poi la 'Madonna, il bambinello e Sant’Anna'. Raccolse i suoi appunti, meditò fino all’ultimo. Il 2 Maggio 1519 si spense e venne sepolto nella chiesa di S. Fiorentino ad Amboise. Dei sui resti non vi è più traccia a causa delle profanazioni delle tombe avvenute nelle guerre di religione del XVI secolo.
Era un perfezionista, Leonardo, amante di ogni disciplina. Aveva i suoi tempi, spesso lunghi. Avrebbe avuto bisogno di due vite. Fu precursore di strade nuove. Tanti dei suoi progetti sono rimasti incompiuti, sulla carta. Un uomo che aveva dei sogni più grandi e più forti delle sue opere. Il suo elicottero alla fine non volò, ma fu l’idea della sfida impossibile la vera novità. Un pensatore curioso, come un filosofo greco. Un artista aperto, un grande fantasista che suggeriva agli uomini del suo tempo cose mai immaginate prima da nessuno. Raffaello lo dipinse come Platone nella sua strabiliante ‘Scuola di Atene’.
Fu un periodo d’oro per l’arte, quello, che ha lasciato tracce indelebili. E Leonardo, attore di questo tempo, immaginò un mondo che ancora non c’era. Lui, uomo che usciva dal Medioevo e viveva nel periodo in cui Cristoforo Colombo scoprì un altro territorio sconosciuto, si chiedeva come stesse la Luna. La indagava e indagava il cielo, anticipando relazioni e domande che solo l’uomo che visse l’età a noi più vicina avrebbe compreso fino a raggiungere lo spazio con una navicella.
L’immaginazione del genio è giunta fino a noi. Ci aiuta ancora a capire e ci fa compagnia, cinquecento anni dopo.
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