4 Maggio 1949: la tragica fine del Grande Torino. Una squadra leggendaria e mai dimenticata
Pubblicato: Sabato, 04 Maggio 2024 - Fabrizio Giustiilmamilio.it
4 maggio 1949. Dopo una sosta a Barcellona, un G-212 Fiat trimotore-ELCE vola verso l’Italia. C’è vento e piove. Il cielo è plumbeo sull’Italia settentrionale. Gli scali di Milano e Genova sono sconsigliati, l’equipaggio deve atterrare a Torino. Dal campo di volo parte un messaggio: “Nebulosità intensa, raffiche di pioggia, visibilità scarsa, nubi 500 metri”.
Alle 17,05 un boato.
Quell’aereo non arriva più sulla pista come tutti si attendevano. Ha centrato la Basilica di Superga. Le vittime sono 31. Dentro e attorno al perimetro di impatto vengono ritrovati i corpi di diciotto atleti, dirigenti, tecnici, membri dell’equipaggio, tre giornalisti. In poco tempo la notizia fa il giro della nazione e del mondo: dentro al trimotore ELCE c’è la squadra di calcio del Torino, anzi del 'Grande Torino', una squadra leggendaria capace di vincere 5 scudetti consecutivi e di espandere i sogni della rinascita italiana del secondo dopoguerra, in una nazione distrutta, ridotta in macerie, profondamente divisa.
Il Grande Torino è quello di Valentino Mazzola, di Gabetto, di Bacciagalupo, di Castigliano, la squadra granata del 'quarto d'ora'. Quando partivano tre squilli di tromba dalla tribuna di legno del Filadelfia, Valentino Mazzola si rimboccava le maniche e non ce n’era più per nessuno. Il Grande Torino è quello di una incredibile imbattibilità interna durata 6 anni e 9 mesi (dal 31 gennaio del 1943 al 23 ottobre del 1949). 100 partite, di cui 3 giocate dai ragazzi della Primavera subito dopo la tragedia e 4 dalla nuova squadra nel campionato successivo: 89 vittorie, 11 pareggi, 363 gol realizzati, 80 incassati.
Il Torino tornava da Lisbona, da una partita con il Benfica. Qualcuno si salvò dal disastro. Non parteciparono all'evento il difensore Sauro Tomà, bloccato da un infortunio, e Renato Gandolfi, il secondo portiere. Il fato aveva salvato la vita anche a Vittorio Pozzo e Nicolò Carosio, lo storico telecronista che rinunciò per la cresima di suo figlio. Luigi Giuliano, capitano della Primavera e da poco tempo in pianta stabile in prima squadra, fu bloccato da un'influenza. Tommaso Maestrelli, futuro e storico allenatore della Lazio, non prese l'aereo poiché non riuscì a rinnovare il passaporto presso la questura.
L’ultima formazione a scendere in campo allo Stadio Nazionale di Lisbona fu questa: Bacigalupo, A. Ballarin, Martelli, Grezar, Rigamonti, Castigliano, Menti, Loik, Gabetto, Mazzola e Ossola. La partita finì 4-3 per i portoghesi. Fu l’ultima pagina di sport scritta dai ragazzi del presidente del club, Ferruccio Novo. I resti dell'aereo, tra cui un'elica, uno pneumatico e pezzi sparsi della fusoliera, le valigie di Mazzola, Maroso ed Erbstein, sono conservati in un museo di Grugliasco.
Il Torino fu proclamato vincitore del campionato a tavolino e gli avversari di turno schierarono le formazioni giovanili nelle restanti partite. Il giorno dei funerali quasi un milione di persone scese in strada per dare l'ultimo saluto ai giocatori.
Nessuna squadra in Italia ha più rappresentato per il calcio ciò che è riuscito ai granata in quel periodo per valenza simbolica e storica.
L'Italia in quegli anni, dopo la dittatura del fascismo e gli anni della guerra perduta, aveva poca credibilità internazionale. Ci pensò lo sport a riscattarci: Gino Bartali, Fausto Coppi, la Ferrari e il Grande Torino, una squadra che da sola faceva la nazionale italiana di calcio. Un gruppo di uomini di talento, soprattutto, che a causa di un incidente terribile entrò nel mito.
Indro Montanelli, in un suo articolo sul Corriere della Sera del 7 maggio 1949, spese per loro queste parole: ”Gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi in essi crede. E così i ragazzi crederanno che il Torino non è morto: è soltanto "in trasferta". La sensazione, dopo tanto tempo, è ancora quella.
Questi i nomi delle vittime della Tragedia di Superga:
Valerio Bacigalupo (25, portiere), Aldo Ballarin (27, difensore), Dino Ballarin (23, portiere), Émile (detto Milo) Bongiorni (28, attaccante), Eusebio Castigliano (28, mediano), Rubens Fadini (21, centrocampista), Guglielmo Gabetto (33, attaccante), Roger (detto Ruggero) Revelli Grava (27, centravanti), Giuseppe Grezar (30, mediano), cimitero di Sant'Anna, Ezio Loik (29, mezzala destra), Virgilio Romualdo Maroso (23, terzino sinistro), Danilo Martelli (25, mediano e mezzala), Valentino Mazzola (30, attaccante e centrocampista), Romeo Menti (29, attaccante), Piero (detto Pierino) Operto (22, difensore), Franco Ossola (27, attaccante), Mario Rigamonti (26, difensore), Július (detto Giulio) Schubert (26, mezzala), Egidio (detto Arnaldo) Agnisetta (55, Direttore Generale), Ippolito Civalleri (66, Dirigente Accompagnatore), Andrea Bonaiuti (36, organizzatore delle trasferte), Egri Erbstein (50, Direttore Tecnico), Leslie Lievesley (37, allenatore), Ottavio Cortina (52, massaggiatore), Renato Casalbore (58, Tuttosport), Renato Tosatti (40, Gazzetta del Popolo), Luigi Cavallero (42, La Nuova Stampa), Pierluigi Meroni (33, primo pilota), Cesare Bianciardi (34, secondo pilota), Celeste D'Inca' (44, motorista), Antonio Pangrazzi (42, radiotelegrafista).
Sono entrati eternamente nel cuore degli sportivi italiani di ogni generazione.