22 Aprile 1977: lo 'scandalo' del 'Mistero Buffo' di Dario Fo, la Rai e il 'compromesso storico'
Pubblicato: Lunedì, 22 Aprile 2024 - Fabrizio Giustiilmamilio.it
L’Italia sul finire degli anni settanta era una nazione lacerata da mille ferite e in marcia sul tema del progresso sociale: le stragi, le bombe, i fermenti sociali, politici e istituzionali, i morti per la politica, la delinquenza diffusa, i nuovi diritti, la fine di una vecchia società e l’inizio di un’altra, la fine dei sogni del ‘68 e l’alba di un movimento di giovani e studenti che anticipò il cambiamento e stravolse ogni certezza fino a quel momento recepita, l’inquietudine sociale e l’insicurezza.
Proprio mentre il cosiddetto ‘Movimento del ‘77’ prendeva forma e si espandeva, anche la televisione italiana, oggetto di vigorose trasformazioni esattamente come la società, si rese protagonista di un episodio simbolico che fece scalpore.
Il 22 aprile 1977, in prima serata sulla “Rete due” (il secondo canale della Rai), andò in onda il “Mistero Buffo” di Dario Fo, un’opera teatrale nata nel 1969 che suscitò una serie di enormi polemiche sui quotidiani di tutta Italia, all’interno della Rai, nel Vaticano e nei palazzi del potere.
Fo era all’epoca una delle più conosciute espressioni della cultura italiana. Sposato con Franca Rame, sua compagna di vita e d’arte, l’attore varesino aveva dalla sua l’appoggio della sinistra, dell’area laica e di quella in aperta contestazione con il clero. Il suo modo di fare teatro era diverso, autonomo, un’informale capacità che amava prendere spunto dalla cultura giullaresca e dall’utilizzo dal linguaggio onomatopeico-dialettale (grammelot) per spiegare la storia e la sua filosofia nascosta. Era il momento in cui Fo esprimeva quell’arte che era stata sempre, secondo la sua visione, posta in piano subalterno rispetto alla cultura ufficiale.
Mistero Buffo mise sul palco drammi religiosi, moralità, parabole in chiave satirico-grottesca ed anticlericale, il rovesciamento del punto di vista dello spettatore e la spiegazione della mistificazione degli avvenimenti storici e letterari nel corso dei secoli. ‘Mistero Buffo’ influenzò per questo molti autori e attori, e venne considerato nel tempo un modello per il genere del teatro di narrazione.
L’opera venne attaccata immediatamente dal Vaticano, che giudicò la trasmissione “disgustosa, grossolana ed avvilente”. Il cardinale Ugo Poletti insorse e telegrafò all’onorevole Giulio Andreotti: “Interprete innumerevoli cittadini e organizzazioni romane, esprimo dolore e protesta per dissacrante ed anticulturale trasmissione televisiva Mistero Buffo di Dario Fo, cui aggiungersi profonda umiliazione per inconcepibile volgarità in pubblica trasmissione che avvilisce nazione italiana davanti al mondo”. “L’Osservatore Romano” riferì di migliaia di telefonate e telegrammi giunti alla redazione in segno di protesta. Conseguentemente, furono invitati i parroci di tutta Italia a criticare aspramente l’opera nelle prediche domenicali. Tra le braccia del colonnato del Bernini non vi furono dubbi: l’ironia utilizzata da Fo non poteva essere tollerata, non solo perché permeata da una serie di epiteti, ma in quanto lesiva della storia della Chiesa.
La Rai, l’ente pubblico che aveva dato il via libera alla messa in onda del programma, venne tirata nel mezzo dell’uragano delle invettive. Mauro Bubbico, deputato della Dc e membro della Commissione interparlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, scandì una sorta di anatema nei confronti di Fo (oggetto già di censura ed allontanamento dopo uno sketch irriverente a “Canzonissima”): “E’ un anticlericalismo vecchio - disse - che non colpisce solo i cattolici: ci sono dati e valori che non è possibile offendere impunemente tanto più quando la violenza è portata con un cabaret a livello di Pippo Franco… Questo programma ricorda i nazisti che bruciavano i libri o i fascisti che aggredivano “L’Osservatore Romano” e i ragazzi dell’Azione Cattolica”.
L’ilarità esternata da Fo durante la sua esibizione in realtà era basata su dei fatti della storia e ad essi era stata data una configurazione, una spiegazione allegorica, buffonesca, ma immersa nella realtà medievale delle classi più emarginate e più oppresse dal potere. Nel suo complesso, al di là delle interpretazioni satiriche della resurrezione di Lazzaro o più pungenti sugli aneddoti riguardanti Bonifacio VIII, il caso non fu solo un capitolo di storia patria sulla moralità del linguaggio o del rispetto della fede, ma ben altro.
La polemica fu elevata all’ennesima potenza con un presupposto “calcolato”. E Fo divenne suo malgrado uno strumento del potere stesso che scherniva nelle sue opere. “Mistero Buffo” risultò re infatti il tipico grimaldello per aprire un dibattito più ampio sull’utilità del “compromesso storico” tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista Italiano. Per accorgersene basterebbe riprendere in mano le pagine del “Popolo”, il quotidiano ufficiale della Dc, nei giorni immediatamente seguenti alla prima puntata della trasmissione.
Il giornale cambiò la propria linea editoriale nel giro di 48 ore. Fatte le dovute critiche nei confronti dell’opera teatrale e dell’attore, il giornale si pose una domanda che aveva le sembianze di una precisa strategia politica: “Com’è possibile che venga consentita una simile operazione?”. “L’Osservatore Romano” gli fece il coro: “Come è possibile che le autorità proposte alle radio-diffusioni in Italia – scrisse - abbiano consentito un’operazione destinata così chiaramente a ferire le coscienze dei cattolici?”. L’obiettivo era probabilmente mettere contro democristiani e comunisti nella Commissione parlamentare di vigilanza Rai, innescando così un insieme di reazioni a catena che avrebbero minato dalle fondamenta le aperture reciproche di Aldo Moro e Enrico Berlinguer.
Il “compromesso storico”, oltre a significare una svolta riformista nella politica italiana che traghetterà i suoi lasciti fino agli anni novanta con la creazione dell’Ulivo e più in là del PD, mise in evidenza contraddizioni e scontri di carattere sociale che generarono la protesta dei movimenti giovanili della sinistra, le prese di posizione dei cattolici più conservatori, la tragedia della nuova linea terroristica che arrivo fino al rapimento di Aldo Moro e la cacciata di Lama, capo della Cgil, dall'Università.
Episodi lontanissimi, di un'Italia che non c'è più. Così come non c'è più quella televisione che cercava idee, sperimentazioni, innovazioni e episodi di coraggio per leggere meglio la società che cambiava.