VICENDE - Frascati | Alvarez, la Resistenza, e qualche leggenda (terza parte)
Pubblicato: Sabato, 16 Marzo 2024 - redazione attualitàilmamilio.it - contenuto esclusivo
di Valentino Marcon
A volte si narra di rapporti di padre Alvarez con la Resistenza dei Castelli Romani, ma non ci sono documenti che lo comprovano e lo stesso non ne fa mai riferimento nei suoi scritti. Del resto qualche accenno sia pur velato sarebbe stato più che logico, almeno in qualche pagina di quel diario pubblicato (completo) nel 1960, cioè 17 anni dopo il bombardamento.
Ormai la Germania hitleriana era stata sconfitta e il Messico - dove ora viveva ed insegnava - era stato un alleato fedele degli angloamericani. Invece niente.
LEGGI 1^ parte VICENDE - Le figure di padre Alvarez e padre Basilisco (e madre Tecla) nei bombardamenti di Frascati e Grottaferrata
LEGGI 2^ parte VICENDE - Padre Alvarez e padre Basilisco: un legame inscindibile con Frascati
Tra l’altro Alvarez, che conosceva spagnolo, italiano, tedesco, ebbe per lo più rapporti formali e talvolta amicali con i soldati tedeschi di stanza a Frascati, che avevano ormai imparato a conoscerlo (e soprattutto a sostituirli nel recupero delle salme delle vittime civili, in particolare dopo che i tedeschi avevano saputo dell’armistizio).
I rapporti dei claretiani ‘di’ Alvarez coi tedeschi, ma anche quelli dei salesiani e gesuiti, pur se non sempre facili, furono comunque limitati da entrambe le parti e talvolta gestiti con circospezione perché eventuali disattenzioni avrebbero potuto far passare qualche guaio per eventuali fraintendimenti. Infatti il claretiano indossava sempre la talare (per lo più imbiancata dalla polvere delle macerie), ma nel suo passaporto era ritratto in abiti civili!
E questo poteva ingenerare sospetti in quei soldati tedeschi che lo avessero fermato fuori di Frascati perché, non conoscendolo, avrebbero potuto chiedergli i documenti e scambiarlo per una eventuale spia specialmente quando doveva recarsi a Ciampino nella chiesa-parrocchia officiata dai claretiani, anch’essa bombardata e con gli sfollati rifugiati alla meglio dentro alcuni vagoni ferroviari. Alvarez era messicano e pertanto cittadino di un Paese alleato degli americani e, quando era fuggito dalla sua Patria nel ’29 e poi trasferito dalla Spagna nel ’35, non poteva vestire né tantomeno possedere fotografie in abiti ecclesiastici.
Una volta che, avendo accompagnato il padre provinciale a Ciampino, se ne tornava a Frascati, seguì in parte il percorso vicino alla strada ferrata, dove poté osservare i tedeschi che manovravano il poderoso canòn che tirava da lì sulla Marina americana, e tramite un argano veniva fatto retrocedere nella galleria. In quel caso Alvarez preferì proseguire per la via verso Anagni deviando poi per Grottaferrata (cfr, pag. 136 del ‘diario’). Come già detto però, i cannoni erano due e Alvarez evidentemente vide solo quello dalla parte della ferrovia per Frascati.
Una documentazione complessiva precisa e credibile sulla resistenza a Frascati non è mai emersa e spesso ci si avvale di testimonianze successive. Non ci si può nemmeno appigliare ad una relazione scritta dal cancelliere vescovile in cui si rilevava come Budelacci, “in un tragico momento di generale abbandono da parte delle Autorità, ha contribuito ad alleviare per oltre un anno i gravi disagi dei sinistrati, degli infermi, degli sfollati e dei patriotti con generose contribuzioni”. Ora non è chiaro cosa si voglia intendere con ‘patriotti’, probabilmente si alludeva a qualche antifascista, più che a ‘resistenti’. (Il pro-memoria della Curia è del 30 novembre 1944 (prot. 170/44) a seguito di una controversia con l’ECA, Ente Comunale Assistenza).
I partigiani frascatani o ‘residenti’ di Frascati, non furono molti, spesso ‘singoli’, ‘isolati’, mentre alcuni operavano in ‘bande’ dei dintorni. Una di queste - il 17 novembre del ‘43 - fu anche denominata ‘Frascati’ e ‘istituita’ da Pino Levi Cavaglione, un genovese trasferitosi a Roma nell’ottobre precedente, da dove, attraverso contatti col PCI, fu inviato nei Castelli tra le formazioni partigiane già presenti. Alla banda ‘Frascati’ - come scriverà lui stesso - mise a capo un tal Fabio Minozzi, che viveva in una ‘villetta poco fuori di Frascati’ (cfr ‘Guerriglia nei Castelli Romani’, il Melangolo, Genova 2006 p. 56, prima ed., Einaudi 1945). Di Minozzi (classe 1909), di origini napoletane, non si è saputo mai altro.
I partigiani ‘frascatani’, complessivamente furono circa una trentina perlopiù operativi nei Castelli, a Roma, o in altre zone nel Lazio. Sostanzialmente militavano nelle seguenti ‘bande’: Banda Frascati: i cui componenti ‘riconosciuti’ sono stati, Gaetano Antonioni, Giovanni Bernardini, Spartaco Casserani, Rino Chiesa, Dante di Nunzio, (Dino Di Nunzio), Arduino Lucarini, Raffaele Toscano (napoletano), Umberto Capitani. Banda Frascati/Mamilio: Santinelli Enrico (‘isolato’), Francesco Tacca (di Priverno), Leonida Rossi, Stelio Rocchi (definito ‘patriota’), Nicola Luciani, Aldo Criccomoro, Olindo Coppitelli, Fulvio Frascatani. Banda Sette Colli: Angelo Mandolesi. Banda Castelli Romani: Rovido Risi, Benito Franco Lombardi (romano), Guglielmo Lombardi, Luigi Ruggeri, Alessandro Corazza. Banda Bandiera Rossa: Livio Pollini, Giovanni e Agostino Torricelli (operanti su Morena-Vermicino). Partito d’Azione: Eugenio Pierpaoli, Odoardo Grossi. Banda Garibaldi: Vincenzo Faccini. ‘Vigili del fuoco’: Rovellino Fava. ‘Banda’ PCI: Antonio Telari, Agostino Torricelli. Democrazia del Lavoro-Movimento Cattolici Comunisti: Enrico Salvitti (operanti nel Lazio). Tutti riconosciuti ufficialmente dall’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia della provincia di Roma. Tra questi partigiani - come scriverà Zaccaria Negroni – ci sarà anche “una dozzina di ex prigionieri inglesi, francesi e americani”. Certo ci sarà stato anche qualche altro non conosciuto, ma è anche vero che, dopo la Liberazione, si presenteranno in centinaia a rivendicare un riconoscimento di ‘resistente’, dalla Commissione Partigiani del Lazio, per fortuna difficilmente concesso. Ad Albano operavano i residenti Angelo Liberati e Severino Spaccatrosi che in un suo diario autobiografico accennerà ad un partigiano del PCI di Frascati che definisce come compagno falegname che fino ad una certa età era stato frate, senza ricordarne però il nome.
Nella zona tra Marino e Grottaferrata nel gennaio del ’44 per rappresaglia a Villa Dusmet vengono fucilati un partigiano e otto civili (le cui salme furono benedette dal parroco del S. Cuore di Grottaferrata, don Lippi). Da quelle parti agivano anche alcuni partigiani cattolici con riferimento alla ‘banda’ attiva a Marino e Rocca di Papa comprendente anche Zaccaria Negroni, Barnaba Trinca e Carlo Colizza, mentre quella ‘mista’ operava nella zona di Grottaferrata con Pier Antonio Corsi. Negroni, ingegnere, era stato anche tra i soccorritori di Frascati comandando la squadra dei pompieri di Marino, finché non fu bombardata anche Marino nel ’44. Questi partigiani cattolici o ‘sostenitori’, tra cui Luigi Raggi di Grottaferrata, avevano frequenti contatti con la ‘banda’ romana comandata da Giuseppe Intersimone, Nicola Angelucci, Ercole Chiri e Luigi Sartori. Senza dimenticare il supporto di alcuni ex-prigionieri russi (di cui non si è tramandato alcun nome o notizia).
A Frascati - controllata capillarmente dai tedeschi - in genere i ‘sabotatori’ si limitavano al taglio di fili telefonici, o a gettare chiodi a quattro punte sulle vie ‘consolari’, mentre le bande ‘operative’ agivano soprattutto nelle zone tra Marino e Velletri e su due altri fronti: tra Colonna e Colleferro, per lo più sabotando le linee ferroviarie della Roma-Napoli. Una delle azioni più nota fu quella della notte tra il 20 e il 21 dicembre del 1943, quando fu fatto saltare un treno sulla linea Roma-Formia all’altezza del ponte delle Sette Luci. Ma qui dobbiamo riprendere la storia, mai confermata da alcuno, di un padre Alvarez amico di partigiani e lui stesso partigiano. Nelle numerosissime pubblicazioni dedicate alla Resistenza nel Lazio, non si trova mai un accenno ad Alvarez (mentre si conosce il nome di un padre gesuita di Mondragone che aveva confessato alcuni uomini prima che fossero fucilati). Subito dopo il bombardamento, tra l’altro, mentre gli alleati rallentavano il loro avvicinamento, il Comando di Kesselring si riorganizzò facilmente, e una parte di esso con alcuni camion per il vettovagliamento e altro materiale, si accamparono proprio nell’Istituto dei Claretiani, tanto che quasi tutti i preti dovettero uscirne e rifugiarsi dai padri camaldolesi, perché anche il Collegio gesuita di Mondragone era strapieno di sfollati, così come quello di Villa Sora. Le stesse suore claretiane furono sloggiate e, in via eccezionale, per alcuni giorni furono ospiti con altri, del convento di clausura dei camaldolesi. Ora, almeno dalle formazioni partigiane ‘cattoliche’ si sarebbe dovuto accennare ad un ruolo, sia pur laterale, di Alvarez, il quale certamente poteva avere contatti con il comando tedesco per funzioni…pastorali, conoscendone la lingua. Invece la notizia, con tanto di particolari, appare solo su una tarda pubblicazione del 1996, edita a proprie spese dal suo autore, Franco Felice Napoli: Villa Wolkonsky 1943-1988, il lager nazista di Roma, un capitolo di storia mai chiuso. Partigiano (con lui agiva anche la banda del Gobbo del Quarticciolo), Napoli narra alcune vicende francamente difficilmente credibili, sia perché non pare proprio a conoscenza delle imprese dei partigiani nei Castelli, sia perché racconta avventurose vicende di padre Alvarez a Frascati mai confermate da alcuno.
La lapide sulla tomba di padre Basilisco ed il ricordo di padre Alvarez nel cimitero di Frascati
Scrive dunque Napoli, anzitutto, che “Alvarez iniziò gli studi a 11 anni nei collegi ecclesiastici di Roma e che il 14 settembre del 1924 indossò l’abito talare e poi…insegnò al Collegio Claretano…alle dipendenze del vescovo Biagio Budelacci”(!). (La biografia autentica di Alvarez è stata pubblicata nella scorsa puntata). Il Napoli, dopo la guerra, volle rintracciare ‘don’ Alvarez, perché a suo parere era in possesso di documenti riservati riguardanti il duce, il Vaticano, i Savoia, ecc., documenti che un gerarca fascista avrebbe sottratto e nascosti in una borsa consegnata poi ad un partigiano, che poi li avrebbe dati al Napoli il quale a sua volta, in modo del tutto rocambolesco, li avrebbe affidati ad Alvarez, perché sarebbe stato “l’unico sacerdote ad aver aiutato molti soldati italiani sbandati dopo l’8 settembre e a nascondere prigionieri inglesi travestendoli da contadini e portandoli oltre la linea di Cassino“! Napoli, dopo i suoi guai di carcerato ed evaso dalla prigione nazista a Roma, ‘rintracciò’ Alvarez nel 1950 e gli chiese informazioni su tali documenti, su cui però il claretiano si sarebbe mostrato reticente. Quando, dopo trent’anni dalla morte di Alvarez, Napoli nel 1996, pubblicherà il libro (a proprie spese, perché rifiutato dagli editori da lui interpellati), affermerà che “il sacerdote non gli aveva rivelato completamente il contenuto di quelle lettere”, inoltre, si era dimostrato ‘abbottonato’ intorno a domande sul Vaticano, e “solo per curiosità - scrive il Napoli, - “tentai di farmi dire dell’altro e gli chiesi di Papa Ratti, [e Alvarez] mormorò: ‘l’hanno fatto fuori’. Soggiunsi: ‘è stato per ordine di Mussolini’? A questo punto Don Giuseppe ‘sciolse’ la lingua, cominciò a parlare un po' alterato, tanto che ne rimasi sorpreso sapendolo uomo di poche parole: mi disse che il Duce non aveva nulla a che fare con la morte del Pontefice Ratti, che l’ordine venne direttamente da Hitler e che il Vaticano in quel periodo era pieno di prelati tedeschi (…)”.
Ora, sorvolando su episodi come l’aiuto che il claretiano avrebbe dato al Napoli per farlo evadere da Villa Torlonia con altri due partigiani prigionieri, o altre ‘avventure’ non verificabili, si possono chiaramente rilevare altre evidenti incongruenze: 1) l’episodio del colloquio con Alvarez lascia perplessi per tanti motivi: papa Pio XI (Achille Ratti) morì in Vaticano per l’aggravarsi della sua salute alla vigilia del decimo anniversario dei Patti lateranensi, mentre gli episodi raccontati da Napoli sui partigiani a Frascati non hanno riscontro su nessun’altra pubblicazione, e alcune vicende (es. su Villa Dusmet) erano già state pubblicate da P. Levi Cavaglione ed altri nel 1945, che non fanno mai accenni ad Alvarez. 2) Quando Napoli pubblicò il suo libro (nel 1996), da tempo era noto a Frascati il ‘diario’ di Alvarez (pubblicato nel 1944) e le edizioni successive (fino al 1977!), ma lui sembra proprio non conoscerle, come abbiamo visto in precedenza! 3) Poiché era morto già dal 1965 in Messico, Alvarez non poteva ovviamente confermare, né soprattutto smentire, le presunte ‘rivelazioni’ del Napoli. 4) Infine, Napoli offrirà - sbagliando pure data e luoghi - una versione particolare del ‘suicidio’ di Cavallero, che sarebbe stato prigioniero in una baracca a Villa Torlonia e, mentre si stava confessando, proprio “a ‘don’ Giuseppe Alvarez, sopraggiunse il console che lo portò via. Erano le 22 dell’11 settembre quando venne ucciso all’interno di Villa Torlonia ed il suo corpo fu trasportato al Park Hotel di Villa Campitelli con l’intento di confondere la verità”. Ora non si sa che tipo di confusione di verità ci sarebbe dovuta essere se sia a Villa Torlonia che a Park-Hotel/‘Campitelli’ c’erano comunque due sedi dello stesso comando tedesco! Inoltre sul ‘suicidio’ di Cavallero, la versione più accreditata da testimoni certi è quella della sua uccisione a Villa Campitelli, alla data del 14 settembre! Infine il Napoli scriveva ancora che, nel 1951 voleva ritrovare ‘don’ Alvarez per accordarsi con lui e far riesumare tutte le salme delle persone assassinate dai nazisti dentro l’immensa (sic!) villa Torlonia, cosa che in precedenza l’autorità comunale ci impedì a seguito di pressioni fatte dal vescovo Budelacci! Ora, non si capisce perché Budelacci - (che era solo ‘ausiliare’, perché il vescovo titolare era il cardinal Marchetti morto in gennaio e ‘sostituito’ da Tedeschini) - avrebbe dovuto impedire tale riesumazione, e va ricordato che la (non) ‘immensità’ della Villa fu messa a soqquadro per anni per i tanti lavori effettuati, compresi quelli famosi dei ‘giochi di luce e acque’ del 1958, per le piscine e i campi da tennis, la ignobile ‘ricostruzione’ della ex villa, ecc., ma cadaveri non ne sono mai saltati fuori. Chissà, forse erano già resuscitati!
Tornando, en passant, al bombardamento di Frascati, e alle ‘leggende’ connesse, recentemente - nel 2021 - si è parlato anche di presunti nuovi documenti americani provenienti dall’Alabama. Ma finora pare essersi trattato solo di un mancato presunto ‘scoop’, con annessa promozione di una ben misera conferenza a Villa Campitelli (nemmeno le autorità comunali ne erano a conoscenza), sponsorizzata dalla diocesi e dal vescovo Martinelli (alla presenza di ben 22 partecipanti!) e senza che fosse mostrato alcun documento in merito, mentre aveva dato forfait anche colui che era stato previsto quale relatore principale! E di tali presunti documenti, non se ne è più saputo niente, nemmeno in occasione dell’80° del bombardamento!