Dino Buzzati, il senso profondo delle cose
Pubblicato: Domenica, 28 Gennaio 2024 - Fabrizio GiustiACCADDE OGGI – Scompare il 28 gennaio 1972 uno scrittore di primo piano
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Scrittore, giornalista, pittore, drammaturgo, poeta. Dino Buzzati aveva una indole tutta sua di conservatore e di apolitico. Ammise: "E non nego che, sotto certi punti di vista, io, privatamente, possa essere anche considerato reazionario: in molte cose io sono attaccato alle vecchie cose, alla tradizione, piuttosto che alle cose del domani. Né sono uno che smania perché da domani mattina si scateni la rivoluzione per le strade, no, questo no".
E’ stato un intellettuale vero, figlio della cultura di cui si era permeato sin dalla giovane età. Il 28 gennaio 1972, in una stanza di una clinica di Milano, si spense a 66 anni. Poche ore prima di morire disse alla moglie: ''È strano, non arriverò a sera, eppure se il direttore mi chiedesse un articolo glielo farei''. Era la passione di un uomo che aveva passato un'esistenza viva, piena di curiosità e di viaggi, di romanzi e di immaginazione. Indro Montanelli, sulle colonne del “Corriere della Sera”, il giorno dopo il decesso del collega ed amico, scrisse: ''Se ne è andato così alla Buzzati che alla Buzzati potrebbe anche tornare''.
Ha scritto pagine profonde e fondamentali della nostra letteratura: 'Il segreto del Bosco Vecchio', l’arcinoto 'Il deserto dei Tartari', 'La famosa invasione degli orsi in Sicilia', 'Il grande ritratto', 'Un amore'. Opere amate anche dal cinema e da registi come Ermanno Olmi.
Nella letteratura di Buzzati è possibile sempre trovare l'animo umano, le sue angosce, la paura della morte, il mistero, il destino, la fiaba, la cronaca vera, la cronaca nera, il senso profondo delle cose. Il suo “Il deserto dei Tartari” - in cui Giovanni Drogo, il protagonista, tenente inviato in una fortezza sperduta ai confini del deserto - è l'allegoria della vita vissuta nella stragrande maggioranza dei casi come un'attesa, fatta anche di sconfitte e di rinunce. Assegnato all’antica Fortezza Bastiani, collocata in mezzo al deserto, trasforma questo avamposto come linea immaginaria di contrasto dei Tartari, che però nella zona non si vedranno mai. La minaccia di un nemico, il deserto, la metafora e il fantastico pongono il romanzo in un contesto metafisico disgregante, lacerante. L’attesa, questo elemento caratterizzante, diventa la condizione umana, quella condizione quotidiana delle domande che non trovano risposta, dei pensieri sul futuro e su quel che accadrà senza sapere come.
In Buzzati si animò anche l’amore per la montagna e la natura, passione che lo porterà a scalare diverse zone rocciose e che lo ispirerà, in uno dei suoi quadri più famosi, a dipingere una fantastica e surreale Piazza del Duomo a Milano trasformata in una specie di rovina dolomitica con i palazzi convertiti in rocce decadenti, circondate da prati dove la gente è intenta a tagliare il fieno.
La passione per la montagna accompagna Buzzati per tutta la vita. Ama frequentare le Dolomiti, tra Croda da Lago e le Pale di San Martino, dove si trova un sentiero a lui dedicato.
La sua prima montagna è la Schiara, che sale a 15 anni. È un amore che ritroviamo anche nei suoi libri. Scrisse: “Aspettate qualche tempo tranquille, e poi provate di nuovo” scrive. “Un bel giorno ritroverete via libera, spero. Nei miei sogni, chissà, tornerete a innalzare le vostre muraglie coronate di nubi e di sole”.
Nell’articolo Salvare dalle macchine le Tre Cime di Lavaredo, pubblicato sul Corriere della sera del 5 agosto del 1952, rifletteva: "Ricordiamoci che la natura sta diventando un’autentica ricchezza. Di tale ricchezza le Dolomiti sono una miniera prodigiosa che il mondo sempre più ci invidierà. Ma se la si sfrutta ciecamente, per la smania di pomparne i soldi, un bel giorno non ne resterà una briciola. Sono montagne delicate, basta poco a deturparle, un giorno pagheremo il conto. Un giorno, quando le Dolomiti saranno tutte un autodromo, la loro poesia andrà a farsi benedire". Si schierò così per preservare le Tre Cime, in prossimità delle Olimpiadi a Cortina nel 1956, dalla realizzazione di una strada che voleva collegare il lago di Misurina al rifugio Locatelli, passando sotto le Tre Cime e arrivando prima al rifugio Comici e quindi alla Val Fiscalina. Era, la sua, una battaglia di stile e di ideali per salvare la bellezza delle Alpi dalla ferraglia, dal cemento, il turismo di massa. "Solitudine, boschi e montagne diventeranno cose preziosissime", pensava.
Personalità poliedrica, quella dell’autore. Nella sua attività giornalistica per anni curò la ”nera” al Corriere della sera, raccontando anche la trasformazione di un certo tipo di società italiana.
In alcuni casi Buzzati ammise quanto utilizzasse i sogni per scrivere, per approcciarsi alla scrittura. ''Quando sto per addormentarmi riprendo il filo del sogno interrotto al mattino, come se fosse un lungo sogno a puntate'', disse in un'intervista televisiva. Storie splendide le sue. Paesaggi letterari in cui le ombre non corrispondevano mai, dove i nemici non arrivavano, dove convivevano illusioni, solitudini che si spingevano oltre il confine, amori nati in luoghi inaspettati (Un amore), attese, percorsi ignoti.
Buzzati fu al di fuori di ogni scuola. Non ebbe tendenze. Fu anomalo perché non schierato e assolutamente incontrollabile sul piano della sua estesa creatività.
La sua è un'opera piena di forme e grandiosa, ancora da leggere per comprendere meglio i nascondigli misteriosi dell'esistenza, dove le certezze non esistono e la speranza - per dirla con Tenco - è un'abitudine.
"Era una delle tante giornate grigie di Milano però senza la pioggia, con quel cielo incomprensibile che non si capiva se fossero nubi o soltanto nebbia al di là della quale il sole, forse".