Beppe Fenoglio, la grandezza di uno scrittore ‘solitario’
Pubblicato: Mercoledì, 01 Marzo 2023 - Fabrizio GiustiACCADDE OGGI – Nasce il 1° marzo del 1922 lo scrittore de ‘Il partigiano Johnny’
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Beppe Fenoglio è stato un grande scrittore. Uno scrittore senza retorica che ha saputo intrecciare storie e avventure della guerra di Resistenza fuori dal coro conformista, un intellettuale che ha testimoniato un momento di storia Patria senza autocelebrarsi. Mai. Di lui Calvino disse che era “il più solitario di tutti” (ovviamente sul piano intellettuale, in un'epoca storica molto ideologizzata ndr). “Scrivo per un’infinità di motivi – raccontò in una lettera - Per vocazione, anche per continuare un rapporto che un avvenimento e le convenzioni della vita hanno reso altrimenti impossibile, anche per giustificare i miei sedici anni di studi non coronati da laurea, anche per spirito agonistico, anche per restituirmi sensazioni passate; per un’infinità di ragioni, insomma. Non certo per divertimento. Ci faccio una fatica nera. La più facile delle mie pagine esce spensierata da una decina di penosi rifacimenti”.
E’ stato partigiano, colmo di passione civile. Classe 1922 (1° marzo), nato ad Alba, figlio di Amilcare, socialista e macellaio, e di mamma Margherita Faccenda. In lui sono fondamentali due direttrici: il liceo e la cultura anglosassone che lo avvolse e lo contrapponeva psicologicamente a quella provincia italiana che faceva pochi passi avanti e si adeguava alla storia. Fenoglio andò in guerra, come tanti. Poi arrivò in montagna. E da partigiano visse l’esperienza fondamentale della sua vita.
Scrisse moltissimo. Nella sua vita, direttamente o indirettamente, gravitarono Calvino, Vittorini, Pavese. Morì il 18 febbraio 1963, a soli 41 anni. E’ autore de ‘Una questione privata’, un libro straordinario, probabilmente il più bello sulla Resistenza. E' autore anche de ‘Il partigiano Johnny’, un testo tra i più intensi della letteratura italiana dove si possono trovare passaggi come questo: “E pensò che forse un partigiano sarebbe stato come lui ritto sull'ultima collina, guardando la città e pensando lo stesso di lui e della sua notizia, la sera del giorno della sua morte. Ecco l'importante: che ne restasse sempre uno” .
LA VITA, LO STILE - I testi più conosciuti di Fenoglio sono tristi e ironici. Sono intrisi di fatica, di chilometri, appostamenti, di fango, piccole vittorie, attacchi veloci, autocritica. Tra i pionieri della nuova Italia con la Einaudi, fu l’autore che seppe impaginare Ettore, l’ex partigiano che faticava a rientrare nella quotidianità della vita del dopoguerra (La paga del sabato), che non si adattava all'attività lavorativa e faticava a uscire dall'epopea. Ma Fenoglio è anche colui che non perde mai di vista le sua lezione personale, assunta nel liceo, fondamentale per la continuazione e la formazione della sua esistenza.
Da studente ha come insegnanti Leonardo Cocito, comunista, militante di Giustizia e Libertà, impiccato dai tedeschi, e Pietro Chiodi, grande studioso di Kierkegaard e Heidegger, deportato in un campo di concentramento tedesco e sopravvissuto alla guerra. Quando arriverà il momento da che parte stare, egli fece la scelta in modo del tutto controcorrente, fuori delle mode.
In un primo momento si aggrega alle Brigate Garibaldi, ma poi passa agli "autonomi" del 1º Gruppo Divisioni Alpine comandata dal maggiore Enrico Martini "Mauri" e della sua 2ª Divisione Langhe, brigata Belbo, comandata da Piero Balbo "Poli". Partecipa, assieme al fratello Walter, disertore dalla RSI, all'esperienza della Repubblica partigiana di Alba tra il 10 ottobre e il 2 novembre 1944.
Questo è il periodo degli appunti, che in seguito svilupperà nella sua coscienza di scrittore e narratore finissimo. Al referendum del 1946 votò per la Monarchia. Nel maggio del 1947 venne assunto come corrispondente estero di una casa vinicola. Due anni dopo approdò alle stampe con il suo primo racconto, firmato con lo pseudonimo di Giovanni Federico Biamonti, su Pesci rossi, il bollettino editoriale di Bompiani. Nello stesso anno presentò a Einaudi i 'Racconti della guerra civile'.
Nel 1950 conosce a Torino Elio Vittorini, che sta preparando per Einaudi la nuova collana "Gettoni", ideata per accogliere i nuovi scrittori. Nel 1952 esce l'opera 'I ventitré giorni della città di Alba'. Narra l'impresa partigiana di Alba, avvenuta il 10 ottobre 1944, privi degli supporti alleati, fino alla riconquista della città degli uomini della Repubblica Sociale Italiana il 2 novembre successivo. ll racconto di Fenoglio è privo della retorica. Per questo l'opera è oggetto di molte critiche, soprattutto dai giornali di sinistra. Solo più tardi il suo modo di "raccontare i partigiani" avrà un riconoscimento dal punto di vista storico. Nella chiusa di quel racconto Fenoglio non si fa scrupolo, infatti, di narrare come mai in tanti i partigiani presero Alba furono e in pochi la persero. Il giorno che i repubblichini attaccano la cittadina, “a Dogliani – scrive - ch’è un grosso paese a venti chilometri da Alba, c’era la fiera autunnale e in piazza ci sarà stato un migliaio di partigiani che sparavano nei tirassegni, taroccavano le ragazze, bevevano le bibite e riuscivano con molta facilità a non sentire il fragore della battaglia di Alba”. Un affronto all’alone di eroismo resistenziale, così tanto percepito negli anni immediatamente successivi alla guerra, che con il tempo ha trovato la sua giusta collocazione.
L'anno seguente completa il romanzo 'La malora' e lavora la traduzione de 'La ballata del vecchio marinaio' di Samuel Taylor Coleridge. Inizia intanto un romanzo sul biennio 1943-1945. Nell'aprile del 1959 esce, nella collana "Romanzi Moderni Garzanti", 'Primavera di bellezza'.
La narrativa breve è cara a Fenoglio, così come l’uso delle parole messe su una bilancia di precisione che raramente si lasciano andare a manifestazioni sperimentali. In lui si palesa l'attaccamento alla terra e la continua ricerca delle radici. E' influenzato dal Neorealismo, poi il suo stile si fa più disteso.
'La malora' (1954), è un romanzo in cui Fenoglio, ad esempio, recupera la cultura contadina e il valore dell'identità. L’appartenenza alla terra diventa anche quella alle radici comuni: il paesaggio, il monte, il viaggio sono punti di riferimento, così come il ritorno alla casa madre o paterna. Nel 'Il partigiano Johnny', per giungere da un capo all’altro della storia autorale, la sensazione dell’usura quotidiana di una condizione esistenziale si fa affermazione di una condizione storica. E' un cambio di passo. Dal mondo minore a uno che segna la vita di tutti: "E Johnny entrò nel ghiaccio e nella tenebra, nella mainstream del vento. L’acciaio delle armi gli ustionava le mani, il vento lo spingeva da dietro con una mano inintermittente, sprezzante e defenestrante, i piedi danzavano perigliosamente sul ghiaccio affilato. Ma egli amò tutto quello, notte e vento, buio e ghiaccio, e la lontananza e la meschinità della sua destinazione, perché tutti erano i vitali e solenni attributi della libertà".
La Resistenza, il Fascismo. La storia. L’uomo che si rende conto di farne parte, ne è cosciente. Così come in ‘Una questione privata’, ove raggiunge un acme narrativo e linguistico difficile da ripetere e rintracciare: “Correva con gli occhi sgranati, vedendo pochissimo della terra e nulla del cielo. Era perfettamente conscio della solitudine, del silenzio, della pace, ma ancora correva, facilmente, irresistibilmente. Poi gli si parò davanti un bosco e Milton vi puntò dritto. Come entrò sotto gli alberi questi parvero serrare e far muro e a un metro da quel muro crollò”. La solitudine, l’inquietudine. L’impegno, una punta di retorica, ma anche la bellezza di una visione, di un fatto. E’ la condizione del combattente che assume connotati esistenziali e reali. Il mito che diventa cronaca, in cui la parola è comunicazione e messaggio. La semplicità di una vita piccola che diventa incredibilmente universale.
Il suo percorso di vita finisce presto, dicevamo. Avrebbe potuto dare ancora molto. La morte lo coglie la notte del 18 febbraio 1963. Viene sepolto nel cimitero di Alba, "senza fiori, soste, né discorsi". Un addio di grande modestia per un innovatore di grande spessore. Purtroppo incompiuto, almeno nell’opera che avrebbe potuto avere superfici ed estensioni ancora più ampie, come in molti quegli artisti del secolo scorso che erano modernità e si sono spenti pieni di luce in modo repentino ed improvviso.
Fenoglio fu assolutamente originale. Lo fu per lo stile e perché arrivò da Alba, ai margini dalla cultura che contava, ma riuscì comunque ad imporsi uscendo dagli schemi letterari. E’ rimasto grande. Altissimo. Anche ora, quando il Novecento, il suo secolo di battaglie e guerre, è bello che passato.