Elezioni regionali 2023: facciamo il punto, partendo da molto lontano
Pubblicato: Sabato, 04 Febbraio 2023 - redazione politicaFRASCATI (politica) - La scena politica è ampiamente variegata, ormai domina l'incertezza e chiunque va a governare è destinato a disilludere molto presto
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di Valentino Marcon
E’ l’incertezza la sensazione che domina sulla prossima tornata elettorale regionale. Dubbi e perplessità infatti accompagnano l’imminente scadenza del 12-13 febbraio prossimi. E qui occorre riflettere almeno su alcune tappe di una storia politica che non ha concluso assolutamente la fase della cosiddetta ‘prima Repubblica’, perché non è mai veramente cominciata una ‘seconda’ anche se spesso si sproloquia su questo termine, tanto più che una nuova fase della Repubblica può iniziare solo se si dovesse cambiare decisamente la costituzione italiana in quanto le modifiche finora effettuate non hanno avuto che risultati incerti e a volte addirittura dannosi come nella modifica del Titolo 5 della Costituzione italiana.
Detto questo, la lunga transizione che stiamo attraversando mostra una realtà politica addirittura più insicura rispetto a venti o trenta anni fa. Le cause sono molteplici e certamente conosciute da molti, ma occorre ricordarne almeno alcune: anzitutto l’antipolitica e il populismo che non va solo attribuito ai recenti approdi di Grillo o di Salvini, ma al ‘ventennio’ berlusconiano in cui si è propagandato l’egoismo individuale e l’arrivismo comunque esercitato. La stessa morale del berlusconismo è stata sotto gli occhi di tutti, ma le colpe ricadono anche su coloro che (illusi o strumentalmente proni nella speranza di qualche beneficio) lo hanno sostenuto per anni.
Per anni il "barzellettiere" aveva ridotto la politica ad un teatrino in cui pochi e sgangherati personaggi - il cui burattinaio era sempre il ‘padrone del vapore’ – hanno recitato la loro particina incensando e ‘malgovernando’ tra uno scandalo e l’altro con l’ampliarsi della corruzione, così da far allontanare ancora di più la gente dalla politica, ridotta a intrallazzi tra comprimari ossequiosi che hanno fatto spesso della piaggeria il proprio stile comportamentale (si ricordi tra l’altro, il baciamano del Berlusca a Gheddafi, ma anche l’ossequio perenne del pedissequo ‘moderato’ e marginale Lupi).
La perlomeno ambigua moralità dell’allora capo del Governo ha potuto avere una sponda anche in qualche organismo della Chiesa italiana: si ricordino le affermazioni ‘accomodanti’ di mons. Fisichella sulle barzellette blasfeme di Berlusconi fino allo scoppiare del cosiddetto ‘scandalo Boffo’ alimentato dai giornali berlusconiani. Come è noto, l’appoggio iniziale arrivò a Berlusconi dalla Lega di Bossi e dal Movimento Sociale-Destra Nazionale (di Fini) nonché dai ‘profughi’ della DC, i vari CCD (di Casini e Mastella) e poi dal CDU dei due ‘ciellini’, Buttiglione (il cosiddetto ‘filosofo del papa’, Woytjla naturalmente) e Formigoni (che diventerà anche presidente della Regione Lombardia, finendo anche lui con una condanna a 5 anni per corruzione!).
Casini, dal canto suo, pur di restare sopra qualsiasi poltrona è stato gioiosamente accolto tra le braccia del suo precedente avversario: il Pd! Nel frattempo mentre cambiavano i governi e nascevano altre forze politiche, per lo più improbabili come ‘Rinnovamento Italiano’ di Lamberto Dini o ‘Scelta civica’ di Mario Monti, nella cosiddetta ‘società civile’ si assisteva al teatrino di ‘movimenti’ più o meno rumorosi ma labili e inconsistenti (si ricordino i ‘girotondini’, i ‘forconi’-giletgialli, o le ‘sardine’) e scomparivano le ‘Alleanze Nazionali’ e le ‘sinistre che più a sinistra non si può’.
Mentre leader egocentrici (Renzi e Calenda) e scontenti delle loro comuni radici fondavano partitini personali.
Almeno nella vecchia ‘balena bianca’ - la DC - le correnti pur se critiche, restavano all’interno dell’unico contenitore! Infine, i cambiamenti delle leggi elettorali, incompresi non solo dai cittadini ma anche dai loro promotori (si pensi al cosiddetto ‘porcellum’ di Calderoli), tra ‘proporzionalismi’ e ‘maggioritari’ con correzioni, o voti ‘disgiunti’ e via dicendo, aggiungevano ulteriore confusione tra la gente ormai irrimediabilmente portata all’astensione.
E in questi ultimi dieci anni a motivo dell’instabilità dei Governi, del continuo turn-over di ministri, non si intravvedeva alcuna possibilità per costruire un bene comune condiviso (l’eccezione è stata la breve positiva parentesi del Governo Draghi e per questo fatto cadere). L’ultima chance tentata dagli elettori è quella di affidarsi a nuovi inquilini del Palazzo, forse nell’illusione di avere un pò di stabilità. Così l’elettorato (poco in verità) si è rivolto non tanto agli scarti del berlusconismo o al becero populismo spiaggistico salviniano, quanto alla leader dei Fratelli d’Italia che ancora non aveva mai preso in affitto il Palazzo di Governo.
Ora che gli esperimenti sono finiti, già serpeggia comunque una certa disillusione tra i suoi elettori, considerando gaffes e incapacità evidenti di ministri improbabili, come il presenzialista Sangiuliano ex direttore del TG2, che ha arruolato Dante Alighieri a ‘fondatore’ della destra italiana (se Dante lo avesse conosciuto, gli avrebbe dedicato un nuovo girone dell’Inferno, tutt’al più in compagnia del ministro “dell’Istruzione e del ‘Merito’ e di qualche altra recente donzelletta!).
A sinistra i piagnistei - ma non le dimissioni - si sprecano e pure gli slogan di ‘ripartire dai territori’, ignorando che sui ‘territori’ in genere ci sono sezioni del PD strettamente presidiate da tempo dai vari personaggi che hanno ottenuto posti e favori e con ‘dirigenti’ abbarbicati al rispettivo ‘referente’ comunale, regionale, nazionale, in una catena che difficilmente si può spezzare, e la ‘nomenclatura’ è sempre quella (confermata dall’unanimità su Letta), mentre la democrazia nel partito, in attuazione dell’art.49 della Costituzione, è sostanzialmente ignorata.
La (falsa) democraticità è smentita ancora oggi dall’autocandidatura di alcuni vertici per conquistare la Segreteria, invece di affrontare la fatica di ripartire dalla base (ma una base con elementi nuovi, della società civile, dell’associazionismo, del volontariato, liberi da condizionamenti e soprattutto capaci di grandi ideali su cui fondare anche metodi ed obiettivi). E poi - ma questo lo affermava già 5 anni fa il filosofo Cacciari - il PD non ha mai avuto una sua identità essendo passato dal PCI ai Ds (Democratici di sinistra) e poi - dopo la fusione tra PPI e Margherita (anche questa a suo tempo di incerta identità) - all’attuale PD. Praticamente una forza (si fa per dire) politica che non ha mai fatta propria la prospettiva dell’Ulivo che aveva raccolto e valorizzato - senza voler comunque una fusione ‘a freddo’ - gli apporti dell’area liberale, di quella socialista e di quella cattolica, mentre di contro l’attuale PD ha radicalizzato la sua politica (non per niente i radicali sono praticamente scomparsi) servendosi dell’apparato e del vecchio metodo pragmatista e centralista dello scomparso PCI (abbandonata anche l’ideologia).
Così anche nella regione Lazio, dopo aver assistito all’incoerenza zingarettiana, che per lungo tempo aveva predicato di non volersi ‘mai’ alleare con i Cinquestelle, all’occasione ha cambiato idea dopo aver ignorato che in politica occorre sempre e comunque ‘mediazione’ (se non compromesso) e non si dovrebbe usare il ‘mai’! E intanto oggi alla Regione si candida la ‘seconda fila’ del zingarettismo, praticamente un suo ‘vice’. Anche qui una scelta che cade dall’alto.
Nella competizione regionale, a meno di un exploit dei Cinquestelle (che potrebbero conseguire qualche risultato soprattutto tra gli scontenti: ‘ambientalisti’, comitati contro l’inceneritore, ecc.), quanti dovessero ancora orientarsi per il PD e suoi alleati, lo faranno solo per non far ricadere ancora la Regione nell’amplesso della Destra, ricordando la brutta esperienza della Giunta Storace di (in)felice memoria.
Ma, considerando anche l’astensione, sovrana è l’incertezza ma anche l’indifferenza.