Gian Lorenzo Bernini e la Roma eterna plasmata dalla sua arte
Pubblicato: Lunedì, 28 Novembre 2022 - Fabrizio GiustiGian Lorenzo Bernini è stato l’uomo più moderno del suo tempo, l’artista che spiazzò l'immaginario e determinò una rottura da dove tutto progredì fino alle epoche moderne. La Roma affascinante e amata dai turisti, quella Roma di piazze e chiese che hanno abbagliato il mondo, è merito suo. Perché prima di lui molti luoghi non erano nulla e dopo di lui diventarono un patrimonio universale. Con la sua nascita, il 7 Dicembre del 1598, si concluse un’epoca fastosa e ne iniziò un’altra: quella del Seicento.
Nato a Napoli, fu fiorentino di origine e di cultura. Suo padre, altro valente artista, era toscano, di Sesto Fiorentino.
Firenze era stata la grande tradizione di un’arte pensata con lo spazio visivo e con il pubblico. Da questo centro nevralgico, il piccolo Gian Lorenzo imprigionò nella sua mente ciò che per almeno due secoli aveva fatto la storia della scultura e della pittura europea. Con il padre aveva visitato la piazza e ammirato il David di Michelangelo, la Loggia dei Lanzi con il Perseo del Cellini, il marmo, il bronzo: le basi della materia. Nella seconda metà del cinquecento, però, quella ventata e quel respiro di modernità e di cambiamento si era un po' perso. Così Pietro era andato a Napoli, la città più ricca e popolosa. E’ in questa comunità, piena di fermenti e di vivacità, che Gian Lorenzo, bambino, probabilmente dona i suoi primi colpi di scalpello. A soli 8 anni.
Nel 1606 Pietro si trasferisce a Roma. La città del Papa è uno scenario tutto da costruire, dove si estendono due idee: quella antica, ovvero quella del Colosseo, e quell’altra città che continua a svilupparsi: le chiese, le piazze, le fontane, la nuova basilica di San Pietro. E’ il tempo di Paolo V Borghese. Gian Lorenzo si impegna nella sua prima opera, la 'Capra Amaltea', ove si rappresenta un episodio, al tempo noto, dell'infanzia di Giove quando, salvato dalla minaccia del padre Saturno, fu allevato dalle Ninfe col miele e col latte della capra Amaltea sul monte Ida a Creta.
Bernini fu un artista che respirava l’aria che aveva intorno, la trasformava e la rifletteva nei suoi intendimenti. Non parlerà mai di maestri, pur essendo figlio d’arte. A soli 16 anni realizza il martirio di San Lorenzo, la prima figura intera di cui siamo a conoscenza. Il suo è il tentativo di rappresentare credibile una forma che appare lontana dalla durezza del marmo. L'artista-ragazzo vi aggiunge la sofferenza, o meglio l’espressione di quel dolore che afferra l’uomo nel dettaglio, nel suo stato d’animo.
Quando entra al servizio del Cardinale Scipione Borghese, in quella Villa che tutti noi oggi ammiriamo come summa di capolavori, Gian Lorenzo esplode nel suo grande estro giovanile. E ‘ un viaggio bellissimo dove Enea porta via il vecchio Anchise da Troia in fiamme assieme al suo piccolo Ascanio. Un viaggio in cui dai piccoli busti si passa ad un grande gruppo in movimento dagli equilibri precari e dove il creatore dell'opera diventa narratore delle tre età dell’uomo dentro al mito. Eppoi troviamo Plutone che afferra Proserpina per portarla sotto terra. La mano incisa, un corpo piantato a terra, e uno sollevato in aria, il cerbero con le tre teste. E ancora Davide e Golia, dove è in atto una rivoluzione. Michelangelo lo aveva immaginato e realizzato mentre era in attesa, prima della lotta; Donatello e Verrocchio lo avevano plasmato in un soggetto già vittorioso. Invece il Bernini lo pone in azione, con la cetra del cantore di salmi a terra. In azione, mentre sta per scagliare il sasso contro il gigante. Forse e lì impresso il suo ritratto, la sua faccia, il suo corpo. Un’immagine di forza e volontà che viene di nuovo modificata in ‘Apollo e Dafne’, il suo capolavoro giovanile, il più poetico e coraggioso. Un punto di rottura raffinato, audace. Apollo tocca il corpo di Dafne, ma lei inizia a diventare pianta di alloro per mantenersi vergine. Cortecce, foglie, carne: l’esplosione della vita, della materia e delle emozioni. Una fotografia in movimento, come quella di un fotoreporter della mitologia. Un’opera anche erotica, ardita per i tempi che correvano.
Quando Gregorio XV Boncompagni Ludovisi, il nuovo Papa, gli commissiona i suoi busti, Bernini diventa un uomo che si mette a raccontare l’umanità che lo contempla. Attraverso il suo modo di illustrare l’arte e il talento che lo caratterizzavano possiamo immaginare ancora oggi che aspetto avessero i poeti, i potenti e i sacerdoti.
Poi fu il tempo di Urbano VIII. La chiesa di Santa Bibiana è il primo passo in cui Bernini diventa quello che sarà, ovvero un grande scenografo e visionario, in una chiesa un po' dispersa, dentro l’immaginario collettivo, nel caos inglobante del quartiere Esquilino. Ma lì dentro c’è un assaggio di ciò che accenderà San Pietro. Sta per iniziare il Barocco, la lingua nuova che parla alla cristianità e al popolo. Sono anni di freschezza e creatività. Giovane è Bernini, giovane è San Pietro, luogo sacro che in quel periodo è una grande scatola vuota da riempire, sorta sulla vecchia struttura costantiniana. Un’altra avventura eroica, per lo scultore, costituita da sessanta anni di lavoro.
Nasce così il tabernacolo della tomba del primo Papa, il suo baldacchino, una colossale invenzione che sembra pesare poco, una messa in scena forgiata, in parte, con il bronzo del Pantheon. Un’immagine potente che si eleva verso la cupola con i suoi decori come fosse stoffa. Bernini diventa qui l’uomo del teatro che uscirà poi fuori, allo scoperto, per abbracciare il mondo con le due mezze lune del suo colonnato, partendo da un obelisco, quello al centro della piazza, come unico riferimento. Una foresta di colonne, dove i diametri e gli spessori sono diversi, dove si moltiplicano i punti di vista, dove ogni colonna copre l’altra, come in un canneto: il senso dello spettacolo, il colpo di teatro, appunto, dove San Pietro ti sbatte addosso come una sorpresa stupefacente, come un palco che si apre. Un senso, questo, che fu possibile fino a quando è esistita la “Spina” di Borgo, il quartiere di casette abbattute per fare, negli anni del Fascismo, Via della Conciliazione, arteria che ha svuotato il potenziale emotivo e razionalizzato il traffico della modernità.
Bernini, a causa dei cambiamenti politici, rischiò persino di cadere in ‘disgrazia’. Il suo lavoro, ad un certo punto della sua lunga vita (morì a 82 anni, il 28 Novembre del 1680), diminuì. Ma poi si rigettò nelle grandi imprese che gli furono commissionate. Presero corpo agli occhi dei romani Piazza Navona, la Fontana dei fiumi, la Cappella Cornaro e l’esperienza spirituale ed ascetica di Santa Teresa D’Avila o il Ponte di Sant’Angelo, i suoi angeli, dove dall’antico, senza essere sfregiato, si offre una scenografia originale rendendo 'trasparenti' i parapetti con il ferro e il marmo, per il piacere di vedere l’acqua che scorre.
Bernini è ancora tra noi con la sua sintesi tra architettura, scultura, disegno, 'teatro', scenografia. Da lui in poi inizia un’altra storia che ha reso Roma città Eterna e potente nei luoghi ove egli impresse il suo sbalorditivo senso del bello.
Bellezza che ha superato i secoli e le mode. Volando sopra ogni età e ogni tecnologia.