L'Aldo Moro (bis) di Bellocchio tra Sciascia, Cossiga e le BR. Ecco perché "Esterno notte" non ci convince del tutto
Pubblicato: Sabato, 26 Novembre 2022 - Marco CaroniROMA (serie TV) - La serie TV sul rapimento del presidente della DC e sui 55 giorni che cambiarono la storia d'Italia
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Anzitutto una doverosa premessa: tornare, 44 anni dopo, a raccontare ancora una volta fatti sui quali si è detto, scritto e girato così tanto, non era affare facile. Farlo, tanto più, con ben 6 ore di fiction, è stata comunque impresa della quale - oggettivamente - al regista Marco Bellocchio ed ai produttori va tributato un doveroso "grazie".
Certo è, però, che su "Esterno notte" - titolo che probabilmente lo stesso Bellocchio ha ereditato dalla sua opera del 2003 "Buongiorno notte" con la quale aveva provato a raccontare di un Moro prigioniero intimo ed introspettivo - c'è tanto da dire.
CINEMA - Che in Italia si possa fare ancora buon cinema è paradigma universalmente noto a dispetto della massa di produzioni di qualità infima che di contro si continua a sfornare. Bellocchio in questo ci conforta e, forte della scelta di un cast importante, che convince (Fabrizio Gifuni, Margherita Buy, Tony Servillo ovviamente su tutti), fa decisamente bene.
Detto dunque di un Fabrizio Gifuni che nei panni di un Aldo Moro (però forse troppo compassato) ci sta a meraviglia e detto che Gifuni regge alla grande il confronto con Roberto Herlitzka di "Buongiorno notte" ma anche quello col mostro sacro Gian Maria Volontè de "Il caso Moro" (1982), c'è da chiedersi se Servillo può davvero incarnare - fisicità a parte - la decadente insistita tristezza di Paolo VI. E, parimenti, se Margherita Buy possa intendere una figura naturalmente refrattaria alla pubblica ribalta come Eleonora "Noretta" Moro. Dichiamo che il risultato è comunque buono, così come buoni sono Fausto Russo Alesi nei panni tormentati di Cossiga e Fabrizio Contri in quelli amletici di Giulio Andreotti. Ma anche, generalmente, tutti gli altri, brigatisti compresi.
16 MARZO-9 MAGGIO 1978 - Sono così note a tutti le immagini e le storie collegate alla parte più pubblica della vicenda Moro (che così mirabilmente Leonardo Sciascia aveva rappresentato in "L'affaire Moro", dato alle stampe a piaga ancora sanguinante) che quando Bellocchio ed i suoi co-sceneggiatori si addentrano nell'intimità dei pensieri, dei dubbi, delle convinzioni che crollano e delle semplici miserie umane dei brigatisti da una parte (soprattutto di Adriana Faranda, tra le prime a dissociarsi) e dei dirigenti della Democrazia Cristiana dall'altra c'è da chiedersi da cosa abbiano tratto ispirazione. Se, insomma, oltre verità processuali - spesso contraddittorie e raramente definitive - si siano scelti dialoghi e fili tracciati solo sulla scorta di qualche intuizione o illazione. O se di contro esiste qualche certezza su cosa pensassero in quei giorni gli uni e gli altri.
Ecco dunque, questo non ci convince appieno.
EPISODI - Così come, allo stesso tempo, trascorsi cronologicamente i primi 3 episodi, "Esterno notte" si incarta passando su un "ad personam" che pone nel mirino della narrazione prima i brigatisti, poi Eleonora Moro e quindi Paolo VI: chiedendo agli interpreti un extra impegno per rendersi convincenti ma soprattutto verosimili nel percorso della narrazione. Solo che a quel punto il filo logico e quello cronologico alla fine saltano e quando si va verso il drammatico finale - quello del 9 maggio '78 - sembra quasi che si corra troppo in fretta omettendo passaggi cruciali che invece sono consolidati.
IL CONFESSIONALE - C'è, in particolare, un passaggio che non ci piace. La mattina del 16 marzo '78 mentre Aldo Moro in marcia verso Montecitorio per andare a raccogliere i frutti del suo "compromesso storico" ed ottenere la fiducia al nuovo Governo Andreotti anche con l'appoggio del PCI, Eleonora Moro viene rappresentata in ginocchio ad un confessionale a riferire al suo confessore di un matrimonio in quei mesi non facile di un Moro parimenti ben lungi dall'essere un marito presente. Ci è sembrato, questo, uno sgarbo gratuito e pretestuoso che non aggiunge nulla alla vicenda e che probabilmente con l'intenzione di riconsegnare al pubblico un Moro più uomo e meno martire (ma è difficile retrocedere in tal senso) in realtà stride.
Quasi se in Bellocchio vi sia non sia sa quale urgenza di riconsegnare alle memoria un Aldo Moro meno mito e più comune mortale. Urgenza inutile.
IL FINALE - C'è poi la questione del doppio finale: quello di un Moro liberato (finale deliberatamente onirico) e quello, reale e drammatico, di un Moro assassinato. Due finali comunque scomodi che, anche 44 anni dopo, rendono evidente la quasi certa condanna a morte che per Moro era stata già scritta nel momento stesso in cui si sparava ed uccideva a via Fani.
PENSIERO - C'è infine ma sopratutto da chiedersi, perché non ce lo fa capire, se Bellocchio nella sua sceneggiatura affondi le mani negli atti processuali, negli articoli di quei tragici giorni, nelle tesi di (su tutti) Sergio Flamigni (autore, tra gli altri, de "La tela del ragno" e "Convergenze parallele", ispiratori del film "Piazza delle Cinque lune" di Renzo Martinelli) o nella narrazione di massa.
La insistita presenza del consulente americano Steve Pieczenik ci fa capire che il dilemma Bellocchio ed i suoi se lo sono posto ma, chiaramente, non spetta a loro offrire risposte.
Soprattutto 44 anni dopo. Soprattutto debitamente non dimenticando che il caso Moro resta ancora vivo ed aperto. E che del temutissimo e misterioso "memoriale" non v'è ancora traccia.
Esterno notte, voto 6.
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"La frase più mostruosa di tutte: qualcuno è morto "al momento giusto"", come Sciascia, citando Elias Canetti, ebbe modo a scrivere in apertura del suo "Affaire Moro".