Umberto Lenzi, regista e innovatore di un cinema coraggioso e ricco di avventura
Pubblicato: Martedì, 19 Ottobre 2021 - Fabrizio GiustiACCADDE OGGI (cultura)– Tra i padri del ‘poliziottesco’, ma capace di perlustrare anche altri orizzonti: il 19 Ottobre 2017 la sua scomparsa
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Umberto Lenzi (Massa Marittima, 6 agosto 1931 – Roma, 19 ottobre 2017) è stato un grande regista, senza termini di dubbio, e uno dei principali autori del cosiddetto ‘cinema di genere’ e ‘cult’ come Milano odia: la polizia non può sparare, Roma a mano armata e Napoli violenta. Capolavori senza ipocrisie degli anni settanta, di violenza e di realismo senza grandi compromessi. Padre, dunque, delle grandi serie tv oggi tanto di moda. Un artista un po' corsaro, capace di buttarsi in mare aperto per trovare nuove ispirazioni, sensazioni, idee.
Artisticamente e intimamente anarchico, vorace lettore, da giovane legge le ‘Tigri di Mompracem’ e si innamora della scrittura di Salgari. E’ l’inizio della sua immaginazione cinematografica e visiva, della sua idea di cinema, amata e celebrata anche da Quentin Tarantino.
"Nella vita di provincia non c'erano molte occasioni: c'era chi andava al mare e chi pigramente passava le giornate al bar. Io preferivo il cinema", dirà.
Lenzi nasce a Massa Marittima (Grosseto), nel 1931. Nel 1949 fonda a Massa Marittima uno dei dei primi Cineclub d'Italia e poi si trasferisce a Roma, dove si diploma al centro sperimentale di cinematografia di Roma. Debutta alla regia nel 1961 con il film di cappa e spada Le avventure di Mary Read. Conquista la popolarità con il filone giallo-erotico all'italiana: Orgasmo, Così dolce, Paranoia. Poi cambia direttiva e in cinque anni è l’autore di Un posto ideale per uccidere, Sette orchidee macchiate di rosso, Il coltello di ghiaccio, Spasmo e Gatti rossi in un labirinto di vetro.
Intuendo dove sta girando il gusto del pubblico in una società, quella degli anni settanta, in cui la cronaca nera ogni giorno è protagonista, si dirige verso il ‘poliziottesco’, un genere di cui è tra i padri e nel quale si afferma con pellicole apprezzate con difficoltà dalla critica e premiate dagli incassi come Milano odia: la polizia non può sparare, con la parte protagonista di un enorme Tomas Milian, nel ruolo di Giulio Sacchi, criminale sadico che vuol fare carriera nel mondo della mala.
Banditi, sparatorie, rapimenti, inseguimenti, violenza anche dura a pura, dicevamo. Con una narrazione ispirata alla stampa dell’epoca, intrisa di pagine e pagine di accadimenti cruenti: dalle rapine sanguinose in banca, ai rapimenti, alle numerose violenze di strada e politiche.
Con Tomas Milian nasce un sodalizio indovinato e fruttuoso per opere come Il trucido e lo sbirro e La banda del gobbo, ovvero le origini de ‘Er Monnezza”, personaggio poi entrato nella memoria collettiva e ancora celebrato dai più giovani.
Lenzi, nel bravo lasso di pochi anni, passa quindi dal film bellico al "thriller dei quartieri alti", fino al racconto della delinquenza. All'inizio degli anni ottanta rivede nuovamente le sue posizioni creative. È il momento dell'horror, del cannibalesco. Dà vita a titoli ricchi di fama all’estero, più che in Italia, dove mano mano la sua statura viene riconsiderata e giustamente premiata. Si ritira dalle scene e si dedica alla scrittura di romanzi gialli che riscuotono un ottimo successo.
Al giornalista Giuseppe Policelli, in una delle sue ultime interviste, disse:“Non ho nessun rimpianto. Ho avuto la fortuna di lavorare quando il regista era ancora il dominatore assoluto del set e sono ormai parecchi anni che la mia opera è stata ampiamente rivalutata, con gratificazioni non indifferenti. Ho avuto la possibilità di fare quello che volevo e l'ho fatto. A me va benissimo così".
Un Maestro assoluto, Lenzi, che ha lasciato tracce straordinarie nel suo percorso e che resteranno vive anche tre le nuove generazioni del cinema che dovranno confrontarsi con la sua arte per trovare la giusta sintesi tra qualità, quantità ed idee.