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OSTIA (cronaca) - Indagini in corso
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È stato fermato dalla Polizia di Stato con l’accusa di omicidio un 42enne nell’ambito delle indagini sulla morte della donna trovata senza vita ieri intorno alle 5 su un marciapiede in via Marino Fasan a Ostia.
La vittima è una italo-brasiliana di 46 anni, precipitata da un palazzo semi-abbandonato.
Il fermato, secondo quanto ricostruito dalla polizia, aveva una relazione con la vittima ed è stato trovato all’interno dello stesso palazzo. Sul caso indagano la squadra mobile e il commissariato Lido.
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La rubrica dei Santi celebrati dalla Chiesa
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«Da trent'anni il mastro Vincenzo va da una città all'altra, da un paese all'altro attraverso tutta l'Europa, montato su un semplice somarello, in inverno come in estate, il bell'abito dei domenicani lungo fino a terra a coprire i suoi piedi nudi. Come Gesù è seguito da una folla immensa di poveri, di donne, di bambini, di chierici, di contadini, di teologi, di duchi e di duchesse, tutti mescolati» ("Le meraviglie di Dio", Mondadori 2000). Nato a Valencia intorno al 1350, Vincenzo si trovò a vivere al tempo del grande scisma d'Occidente, quando i papi erano 2 e poi addirittura 3. E, suo malgrado, egli si trova al centro della divisione che minaccia il vertice della Chiesa. Ancora giovane domenicano, era stato notato da Pietro de Luna, legato del papa avignonese.
Seguendo da vicino il cardinale, si rese però conto che la Chiesa aveva più che mai bisogno del ripristino dell'unità e della riforma morale. Incominciò allora la sua attività di predicazione. Nel 1394 il suo protettore, il cardinale de Luna, divenuto papa con il nome di Benedetto XIII, lo nomina suo confessore, cappellano domestico, penitenziere apostolico. Egli intensifica la sua attività ma nel 1398 si ammala e ha una visione nella quale gli appare il Salvatore accompagnato da san Domenico e san Francesco. Il Signore tocca la guancia del malato e gli ordina di mettersi in viaggio e conquistare molte anime. Vincenzo lascia allora Avignone ed intraprende vere e proprie campagne di predicazione in Spagna, Svizzera e Francia, in cui parla dell'Anticristo e del giudizio finale. Contribuisce così in modo decisivo alla fine dello scisma e al miglioramento dei costumi. Morì a Vannes nel 1419.
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- Scritto da Fabrizio Giusti
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ACCADDE OGGI – Morì il 6 aprile del 1520. La sua opera è rimasta immortale
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Nella notte tra il 6 a 7 aprile 1520, dopo alcuni giorni di febbre acuta e continua, Raffaello Sanzio si spense improvvisamente a Roma. Un evento che portò sgomento non solo nella comunità, ma anche in Papa Leone X e tra tutti coloro che lo avevano stimato come uomo e come artista.
Celebrato come pittore, Raffaello fu anche l’architetto della Fabbrica di San Pietro, l’unico che aveva dato l’impressione, attraverso le sue arti e le sue opere, di poter far rivivere d’incanto la Roma della gloria antica.
La sua sepoltura avvenne all’interno de Pantheon, monumento amato dall’artista come modello fondamentale. Fece qui restaurare un edicola, ove fu sepolto, in cui è collocata la Madonna del Sasso del suo amico Lorenzetto. L’Epitaffio, scritto da Pietro Bembo, recita: “Ille hic est Raphael, timuit quo sospite vinci rerum magna parens et moriente mori”. Qui giace Raffaello: da lui, quando visse, la natura temette d'essere vinta, ora che egli è morto, teme di morire.
La passione per l'antico è il filo rosso che attraversa tutta la carriera del grande artista. Dagli inizi, ad Urbino, finendo per l’Umbria, le Marche, Siena, Firenze e culminando negli anni romani. Aveva un progetto, l'artista, a cui si deve anche la moderna concezione della conservazione del passato e dei suoi monumenti. Di questo si parla in un importante lettera, giunta fino a noi, a papa Leone X sulla necessità di proteggere le vestigia della Roma antica. Una preziosa testimonianza del crescente interesse e dell’amore per l’antichità che aveva colto il suo punto di maturazione durante il Rinascimento fino a cogliere una identità moderna. Siamo di fronte al primo tassello della storia della tutela del patrimonio artistico. Un momento luminoso di cultura e conoscenza. Un formidabile vincolo umano e intellettuale.
Nominato Sovrintendente alle antichità, Raffaello scrive al Pontefice: "Con grandissimo dolore, guardo alla Roma odierna come al cadavere, quasi, di una nobile patria". Non distruggiamo "più nulla della bellezza che dai nostri avi abbiamo ereditato. Anzi tuteliamola e restauriamola con ogni diligente attenzione. Questo è il nostro grande, immane compito e intento che perseguiremo con ogni severità ed energia”.
Prima ancora, quando fu il tempo di Giulio II, uomo controcorrente che avviò una rivoluzione stilistica, Raffaello fu chiamato a partecipare a quel momento storico così straordinario. In un periodo in cui si dipinse la volta della Cappella Sistina, in cui si avviarono grandi lavori sulla Basilica di san Pietro, egli affrescò gli appartamenti privati del Papa. Lasciandoci una testimonianza incredibilmente fragorosa della sua raffinatezza e potenza pittorica.
Raffaello nella sua arte trasmetteva una enfasi clamorosa per l’arte classica. Papa Leone X, che stimava intensamente la sua arte, comprese, proprio come il predecessore Della Rovere, quanto il potere delle immagini potesse sostenere il pontificato. Il genio di Urbino eccelleva nella pittura sacra, nella decorazione, nei cicli pittorici, nelle opere per i raffinati collezionisti. Un impegno enorme, coadiuvato da giovani allievi di talento che lo aiutarono.
Questo giovane sensibile fu anche il pittore delle donne. Ne estrapolava una bellezza mentale, filosofica che non sfidava l’inevitabile imperfezione del mondo, bensì la completava, la migliorava. Nei suoi ritratti, anche maschili, l’intenzione di trattenere l’essenza, ciò che non ha tempo, che non ha timore degli anni o dei secoli. Qualcosa di ipnotico, in certi casi.
Fu inoltre architetto geniale. Aveva studiato gli antichi edifici romani e da essi trasse spunto per un linguaggio innovativo che faceva sintesi nel disegno, nelle linee, nelle sfumature, nei decori. Ne sono rimaste tracce importantissime.
Così era, questo pittore nato ad Urbino nel 1483, probabile allievo del padre Giovanni Santi e del Perugino. Si affermò presto come uno degli artisti più rinomati, nonostante la giovane età. In quel periodo nella città natia c'era una vera e propria scuola pittorica che lo influenzò. Gradualmente, però, si distacco da questi spunti per tendere a una maggiore autonomia, se così si può dire.
Alla fine del 1504 si reca a Firenze con l'intento dichiarato di studiare le opere di Leonardo Da Vinci e di Michelangelo. Una città in piena fibrillazione artistica che rinnova, si eleva, muove il mondo.
Osserva i maestri, si ispira alle lezioni quattrocentesche di Masaccio, di Donatello. Si allontana dal Perugino e si allunga oltre. Poi è il momento di Roma, di una città che lo affascina profondamente. Qui gli viene affidato l'incarico di affrescare alcune pareti della Stanza della Segnatura. E dunque è il momento de La Teologia, il Peccato originale, la Giustizia, Il giudizio di Salomone, la Filosofia, la Contemplazione dell'Universo, la Poesia. Dopo la Cacciata di Eliodoro, del Miracolo della Messa di Bolsena, la liberazione di S. Pietro e il cielo, quella notte che sta declinando verso l’alba. Quella luna, che mai si era vista nella pittura: il primo vero notturno della storia dell’arte italiana.
Nel 1514, dopo la morte del Bramante che aveva già progettato San Pietro, il Papa lo nomina responsabile della cura dei lavori per la costruzione di San Pietro, lavorando inoltre alla realizzazione delle logge del palazzo Vaticano nel cortile di San Damasco. Di tanto che fece, molto è rimasto. Influenzando generazioni di artisti.
Morì a Roma, come detto, a soli 37 anni, all'apice della gloria. Ove giaceva il suo corpo, fu appesa la Trasfigurazione, e la visione di quel capolavoro generò ancora più sconforto per la sua perdita. Scrisse Vasari a tal proposito: "La quale opera, nel vedere il corpo morto e quella viva, faceva scoppiare l'anima di dolore a ognuno che quivi guardava".
In lui un’ideale di bellezza immortale, che ha ancora molto da insegnarci.
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