Papa Paolo VI e le agitate cronache del suo tempo. Il Pontefice che lasciò la Chiesa in piedi
ilmamilio.it
Intorno alla metà del mese di Luglio del 1978, Papa Paolo VI, malato e sofferente, si trasferì nella storica residenza estiva vaticana a Castel Gandolfo.
Il 31 luglio, affermano le cronache del tempo, fece la sua ultima visita nei giardini delle ville pontificie. Il 1° agosto si recò nella chiesa delle Frattocchie (Marino), dov’era sepolto il Cardinale Pizzardo. Da lì tornò con qualche linea di febbre. Tenne ugualmente un’udienza generale e ricevette il nuovo presidente della Repubblica italiana, Sandro Pertini, il primo socialista al Quirinale.
Il 1978 fu un anno particolare, che giunto al suo termine contò ben tre Papi e due Presidenti della Repubblica. Un fatto probabilmente irripetibile per la storia di una nazione drammaticamente squassata, al tempo, dalle bombe, dalla irrequietezza sociale e dal terrorismo.
Papa Montini, poche ore dopo il suo ultimo incontro con il Capo dello Stato, si aggravò. Il suo fisico, già provato, subì un'infezione alle vie urinarie. Sabato sera, il 5 agosto, riuscì appena a vedere qualche scena di un film alla tv. La mattina dopo non si alzò dal letto e non si affacciò per l’Angelus. Nel pomeriggio, dopo aver pronunciato la formula della preghiera eucaristica, venne colto da un infarto. Alle 21.41 morì.
Monsignor Pasquale Macchi, che gli fu molto vicino in quelle ore, disse che ‘desiderava morire bene’, senza disturbare, senza creare problemi alla Chiesa a causa dei suoi problemi fisici e nel pieno delle facoltà intellettuali. “Il Signore ha esaudito la sua preghiera”, ricorderà ancora il Monsignore.
Era stato eletto Papa il 21 Giugno del 1963. Ebbe un Pontificato complicato, a causa dei radicali cambiamenti sociali ed internazionali che caratterizzarono gli anni sessanta e settanta del Novecento, in cui la secolarizzazione approdò drasticamente dentro la società italiana, europea e mondiale con tutta la sua forza. Montini concluse comunque l'opera iniziata dal suo predecessore, Giovanni XXIII, sul Concilio Vaticano II, affrontò le turbolenze degli scissionisti lefebvriani, aiutò la Chiesa a rinnovarsi attraverso i principi di un dialogo tra le diverse confessioni (promulgò la Prima giornata mondiale della Pace) senza eludere l'impegno per l'unità dei cattolici nel mondo. Visse l'epoca della contestazione giovanile, dei referendum su aborto e divorzio, delle turbolenze interne di chi spingeva per ulteriori riforme nella curia, affrontò il nodo del rapporto tra chiesa e mondo operaio, la parabola ascendente del terrorismo in Italia, fino alla drammatica fine di Aldo Moro, suo amico fraterno dai tempi della Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana). Non esitò, umanamente, a pronunciare un appello in cui definì ”uomini’’ gli appartenenti alle Brigate Rosse per salvare la vita del Presidente della Democrazia Cristiana. Parole inascoltate.
Ebbe il merito, non secondario, di uscire dal Vaticano. Fu il primo Papa a viaggiare in aereo. Visitò tutti e cinque i continenti. Storica e commuovente la sua comparsa a Gerusalemme per incontrarvi Atenagora, patriarca di Costantinopoli, e abbracciarlo dopo la bellezza di 525 anni dall'ultimo contatto tra le due Chiese. Paolo VI fu oggetto di un attentato: il 27 novembre 1970, appena atterrato nelle Filippine, un pittore boliviano, Benjamin Mendoza, munito di un kriss, il tipo pugnale malese, lo ferì al costato. Provvidenziale fu l’intervento del suo segretario personale, Pasquale Macchi.
Fu un uomo pacato, signorile, di pochi gesti, mai popolare alle masse e raffinatissimo teologo. Per questo, forse, fu parzialmente dimenticato. Eppure fu sicuramente colui che allontanò l'eco del temporalismo dalla sede vaticana e rinunciò al Triregno. Chiese un funerale umile. Lasciò scritto: ''Amerei che la mia tomba fosse nella vera terra, con umile segno, che indichi il luogo e inviti a cristiana pietà. Niente monumento per me''. La sua bara fu semplice, di legno chiaro. Le esequie seguirono le sue disposizioni, che divennero quelle di altri successori. La sobrietà, innanzitutto.
Ha lasciato dietro di sé un’orma ancora presente nel cammino della Chiesa moderna. La sua enciclica ‘Populorum progressio’ (Lo sviluppo dei popoli), pubblicata il 26 marzo 1967 è ancora di forte attualità per la sua forma, le sue aspirazioni e le sue soluzioni spirituali e sociali.
“Lo sviluppo dei popoli – scrisse all’inizio della sua riflessione - in modo particolare di quelli che lottano per liberarsi dal giogo della fame, della miseria, delle malattie endemiche, dell'ignoranza; che cercano una partecipazione più larga ai frutti della civiltà, una più attiva valorizzazione delle loro qualità umane; che si muovono con decisione verso la meta di un loro pieno rigoglio, è oggetto di attenta osservazione da parte della chiesa”.
Nel 1972 in piazza San Marco fece un gesto forse “profetico”. Al termine della Messa in piazza San Marco si tolse la stola papale, la mostrò alla folla e la mise sulle spalle del patriarca, Albino Luciani, visibilmente imbarazzato. Luciani gli succederà come Pontefice, seppur per brevissimo tempo.
Le idee e le domande di Papa Paolo VI, al di là dei detrattori e di coloro che non lo hanno mai dipinto con simpatia, sono ancora lì, intatte. Sono i lasciti non risolti di un Papa troppo spesso rimosso dalla memoria collettiva. Immeritatamente. Dom Giovanni Franzoni, l'Abate ribelle della Basilica di San Paolo, disse che questo pontefice in parte rimosso e che avallò la sua riduzione allo stato laicale, era stato il più progressista e antitemporalista del Novecento. La storia, con il tempo, lo ha riconsiderato.