ACCADDE OGGI – Nasceva a Napoli il 15 Novembre del 1922 un maestro assoluto del cinema di inchiesta
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Francesco Rosi è stato un uomo di cultura, un maestro vero della regia cinematografica, un innovatore ed un uomo coraggioso in anni in cui andare controcorrente, mentre dilagava il consenso di una malapolitica contagiosa, era difficile, rischioso, persino oltraggioso.
Un artista autorevole, ma che sapeva anche essere leggero, fiabesco, poetico, teso comunque verso la volontà di informare, far conoscere, divulgare il meglio della nostra nazione affidandosi ad attori ed autori di qualità, ma soprattutto passionali, vivi, istintivi.
Dai suoi occhi e dal suo metodo nel guardare le cose è passata una parte della nostra storia Patria. Senza mezze parole, o frasi non dette. E' appartenuto ad una generazione nata con il confronto tra le intelligenze e con un cinema che ha saputo cambiare il mondo.
Rosi ha messo sempre la sua arte al servizio di una funzione sociale attraverso l'indagine, di livello quasi giornalistica, per fare del cinema e della vita una forma curiosità che si allargava alla grande platea.
La frase finale che appariva nel film ''Le mani sulla città'' recitava: ''I personaggi e i fatti qui narrati sono immaginari, è autentica invece la realtà sociale e ambientale che li produce''. L'Italia di oggi è rimasta un po' quella. A livello nazionale, come in quello locale. Ma la differenza sta proprio nell'avere incontrato sulla nostra strada un regista come Rosi, capace di farci pensare, riflettere, indignare. Per lui crediamo valga la pena di citare Bettold Brecht: ''Ci sono uomini che lottano un giorno e sono bravi, altri che lottano un anno e sono più bravi, ci sono quelli che lottano più anni e sono ancora più bravi, però ci sono quelli che lottano tutta la vita: essi sono gli indispensabili''.
Nato a Napoli il 15 novembre 1922, dopo anni di grande interesse per la cultura, nel 1946 entra nel mondo dello spettacolo. Viene chiamato da Luchino Visconti come assistente alla regia per La terra trema (1948), per Bellissima e Senso. Si dedica al primo lungometraggio con La sfida (1958), la storia di un ragazzo napoletano la cui ambizione lo porta ad immergersi dentro ad ogni avventura. E’ l’approccio del regista con la realtà, con l’evolversi della criminalità, i legami con la politica. L’anno dopo è il tempo de ‘I magliari’, con Alberto Sordi e Salvatore Giuliano, inaugurando il filone dei “film-inchiesta”, sua impronta fondamentale.
Rosi è straordinario nel ricostruire i fatti, narrare particolari di cronaca, raccontare con la forza dell’immagine. Poi arriva ‘Le mani sulla città’ (1963) e compie una rivoluzione sul piano della denuncia sociale, attraverso un percorso creativo e realistico nel quale emerge l’accusa delle collusioni esistenti tra Stato, sfruttamento edilizio, poteri dell’imprenditoria e del clientelismo. La pellicola è premiata con il Leone d’Oro al XXIV Festival di Venezia.
Il regista si prende una pausa con la trasposizione cinematografica di ‘Lo cunto de li cunti’ di Giambattista Basile, dal quale trae spunto per il suo nuovo film C’era una volta…, con Sophia Loren e Omar Sharif, ma torna all’inchiesta con Il caso Mattei e Lucky Luciano, con un grande Gian Maria Volontè. Con ‘Cristo si è fermato a Eboli’, ispirato dal libro di Carlo Levi (1978), tocca livelli di sensibilità, poesia e di intellettualità profonda. Poi attraversa Cronaca di una morte annunciata di Gabriel García Márquez e La Tregua, tratto dal libro di Primo Levi.
Scomparso a Roma, il 10 gennaio 2015, all’età di 92 anni, Rosi ha dato lustro alla tecnica della finzione e della testimonianza forse come nessun altro in una nazione in cui il compromesso è sempre verso il basso o si cala nella deriva della rinuncia ad osare. Un protagonista del cinema indipendente per chi vorrà, nei prossimi anni, cimentarsi nel difficile mondo del grande schermo.