Ezra Pound e la sua poesia eterna. "Quello che veramente ami è la tua vera eredità"
ilmamilio.it
Sulla sua tomba, nell'Isola di San Michele a Venezia, non c'è scritto nulla. Solo il suo nome e il cognome: Ezra Pound.
Pound è stato un monumento della poesia del Novecento. Piegato, condannato o conteso, come tutti gli intellettuali del 'secolo breve' (ed ideologico) fece le sue scelte. Fisicamente somigliava ad un profeta e lo era sul serio.
Vestito di bianco, con il suo capello da cowboy, negli ultimi anni camminava per le vie di Venezia. Chi visse quel periodo se lo ricorda ancora bene, nitidamente, come fosse la figura di un vate che si donava alla vista degli altri. Lo citò Giovanni Paolo I, Albino Luciani, con affetto, nelle sue memorie. E' amato da intellettuali di sinistra e di destra. Fu il più classico tra gli autori di versi, ma dentro uno sperimentalismo poetico che faceva ascoltare il respiro di Virgilio, Dante e Omero.
Pier Paolo Pasolini, che lo ammirò, disse che era dotato di una poesia ''enormemente vasta, capace di estendersi in superficie occupando un territorio immenso''. Uno storico incontro per la televisione italiana tra i due, nel 1968 (con la splendida voce narrante di Arnoldo Foà), sancì quello che era un punto di contatto di questi straordinari personaggi affascinati dal mondo scomparso dei pionieri in America (Pound) e dalla civiltà contadina in Italia (Pasolini). Due visioni sicuramente lontane per origini geografiche, ma vicine nel comune sentire nell'approccio al mondo con profonde critiche nei confronti dello sviluppo e delle sue mostruosità sociali, economiche, consumistiche.
In quest’intervista Pasolini si rivolge a Pound con una frase mutuata dallo stesso poeta americano e riferita originariamente a Walt Whitman: «Stringo un patto con Te./ Ti detesto ormai da troppo tempo./ Vengo a Te come un fanciullo cresciuto che ha avuto un padre dalla testa dura./ Sono abbastanza grande ora per fare amicizia./ Fosti Tu ad intagliare il legno./ Ora è tempo di abbattere insieme la nuova foresta./ Abbiamo un solo stelo ed una sola radice./ Che i rapporti siano ristabiliti tra noi». E la risposta del vecchio Pound fu: «Bene, Amici allora: Pax tibi, Pax mundi». Storia.
Pound nei suoi versi creava melodie. Nei suoi fogli, i temi musicali si intrecciavano e si ritrovavano in un 'Festival della letteratura mondiale' – come disse Eugenio Montale - ancora oggi considerato intramontabile.
Il poeta ebbe una vita avventurosa e dolorosa. Visse per lo più in Europa. Fu uno dei protagonisti del modernismo e della poesia di inizio XX secolo costruendo, assieme a Thomas Eliot, la forza trainante di molti movimenti letterari. Trasferitosi in Italia nel 1924, sostenne il regime fascista fino alla caduta della Repubblica di Salò. Catturato, venne consegnato alle forze armate degli Stati Uniti, ove fu sottoposto a processo per tradimento. Pagò sostanzialmente la sua presa di posizione differente, considerata inaccettabile da un americano, e pagò le sue trasmissioni dalle frequenze dell'EIAR, il suo ''Europe calling, Ezra Pound speaking'', per le quali fu accusato di propaganda antiamericana e contro la guerra in Europa.
Trasferito in un campo di prigionia dell'esercito statunitense ad ''Arena Metato'', tra Pisa e Viareggio, visse alcune settimane di reclusione in una gabbia di sicurezza senza servizi igienici e la possibilità di ripararsi dal freddo e dal caldo. Subì un tracollo fisico. Gli fu assegnata una tenda presso l'infermeria e gli fu consentito di scrivere. Instancabile, trascorse i mesi componendo alcuni 'Canti pisani' e tradusse Confucio, di cui possedeva un libro.
In quei giorni così difficili, mentre un faro notturno abbagliava la sua cella, quando per dormire si doveva tirare l'unica coperta che gli era stata concessa sulla testa e due sentinelle gli facevano la guardia in permanenza col divieto di parlargli, riuscì ad elaborare ugualmente il suo immaginario.
Alla fine del novembre 1945, fu trasferito in aereo a Washington per il processo. In seguito a una perizia psichiatrica, fu dichiarato infermo di mente. Lo accolse l'ospedale criminale federale "St. Elizabeths" di Washington per tredici anni. Molti intellettuali si mobilitarono per lui. Una volta liberato, tornò in Italia dove trascorse gli ultimi anni della sua esistenza. Le sue preferenze politiche gli costarono anche, nel secondo dopoguerra, la possibilità di partecipare all'assegnazione del Premio Nobel per la letteratura, nel 1959.
Pound fu osteggiato soprattutto per le sue teorie economiche, ben più 'pericolose' dell'adesione o simpatia personale per Mussolini. ''Abc dell’Economia'' e ''Lavoro e Usura'' aprirono infatti le coscienze a considerazioni fino ad allora poco monitorate e studiate. Per il poeta era inconcepibile che le banche potessero creare denaro dal nulla attraverso semplici operazioni contabili. A causa di questo capovolgimento nei rapporti di forza, anche il lavoro risultava vincolato alle decisioni prese da coloro che fondavano il potere sul diritto di prestare denaro.
L’idea economica poundiana è quella, nella sostanza, di un popolo che non adorava la moneta e non ne faceva una divinità di carta, non creava una classe di politici serva dei banchieri, non lavorava più di cinque ore al giorno. La sua idea era quella di un’umanità libera dalla fatica e della finanza, capace di gestire le sue risorse equamente, distribuendole nello Stato Sociale.
Il denaro: questo è l'elemento da cui, per Pound, si doveva partire, riconsiderando tutti i meccanismi che lo creavano e che gli davano un valore. Teorie rivoluzionarie che sono state poi rivalutate negli anni, ma che all'epoca erano molto di più di una bestemmia. La figlia del poeta, Mary de Rachewiltz, una volta ha testimoniato: ''Papà non si lamentava mai. Anzi ci scherzava sopra. Sosteneva che l' essere stato rinchiuso in una gabbia all'aperto per tre settimane e poi internato per tredici anni in manicomio, costituirono un' occasione unica per vedere il mondo, per allargare i suoi orizzonti".
Se una siepe può lasciar figurare l' infinito di leopardiana memoria, una gabbia poteva allagare lo sguardo oltre ciò che non si vedeva. Guardando la visione del cielo tra le gambe di chi gli faceva da sentinella, scrisse: "Sotto nuvole bianche, cielo di Pisa / da tutta questa bellezza qualcosa deve uscire...".
Attirò su di sé anche la curiosità delle nuove generazioni. Un altro grande artista, Andrea Pazienza, punto di riferimento di migliaia di ragazzi tra la fine dei settanta e gli anni ottanta, tra i suoi appunti scrisse che amava “il Cabaret Voltaire e Gauillaulme Apollinaire, le bretelle di cuoio e le maglie a tinta unita, Charlie Brown e il costruttivismo, lo yogurt e gli incontri rosa, i cocktail al cioccolato e la besciamella, l’heppening, il New Dada, la Pop Art, Balla, Boccioni ed Ezra Pound...".
Nel 2009 il ''New York Times'', commentando la crisi dei mutui, apriva un articolo riportando i versi del poeta scritti all'alba della Seconda guerra mondiale: ''Con usura nessuno ha una solida casa''. Una piccola rivincita, per un gigante assoluto. Una poesia, la sua, che si batteva contro quella modernità che si muove come in guerra contro la riflessione e i tempi della vita per esaltare la superficialità e la fretta. "Quello che veramente ami rimane / Il resto è scorie / quello che veramente ami non ti sarà strappato / Quello che veramente ami è la tua eredità". Questa, tra le tante creazioni, ci ha lasciato.
Ci congediamo con i versi che sono anche il suo testamento. Vennero letti anche nella scena finale del film dedicato alla grande fotografa Letizia Battaglia, recentemente scomparsa, in cui la stessa artista dello scatto li declamò:
Quello che veramente ami rimane,
il resto è scorie
Quello che veramente ami non ti sarà strappato
Quello che veramente ami è la tua vera eredità
Il mondo a chi appartiene, a me, a loro
o a nessuno?
Prima venne il visibile, quindi il palpabile
Elisio, sebbene fosse nelle dimore d’inferno,
Quello che veramente ami e’ la tua vera eredita’
La formica e’ un centauro nel suo mondo di draghi.
Strappa da te la vanità, non fu l’uomo
A creare il coraggio, o l’ordine, o la grazia,
Strappa da te la vanità, ti dico strappala
Impara dal mondo verde quale sia il tuo luogo
Nella misura dell’invenzione, o nella vera abilità dell’artefice,
Strappa da te la vanità,
Paquin strappala!
Il casco verde ha vinto la tua eleganza.
"Dominati, e gli altri ti sopporteranno"
Strappa da te la vanità
Sei un cane bastonato sotto la grandine,
Una pica rigonfia in uno spasimo di sole,
Metà nero metà bianco
Né distingui un’ala da una coda
Strappa da te la vanità
Come son meschini i tuoi rancori
Nutriti di falsità.
Strappa da te la vanità,
Avido di distruggere, avaro di carità,
Strappa da te la vanità,
Ti dico strappala.
Ma avere fatto in luogo di non avere fatto
questa non è vanità Avere, con discrezione, bussato
Perché un Blunt aprisse
Aver raccolto dal vento una tradizione viva
o da un bell’occhio antico la fiamma inviolata
Questa non è vanità.
Qui l’errore è in ciò che non si è fatto, nella diffidenza che fece esitare.