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- Scritto da Fabrizio Giusti
ACCADDE OGGI – Nasceva il 23 Luglio del 1908 l’autore di ‘Uomini e no’
ilmamilio.it
Coraggioso nelle scelte, grande lettore, intellettuale appassionato. Non aveva fatto studi universitari, Elio Vittorini. Era un’autodidatta, come tanti, non sapeva il greco e il latino. I nonni avevano fatto gli operai, il papà era stato ferroviere. Non a caso disse di sé: “Quello che io so o credo di sapere l'ho imparato da solo nel modo vizioso in cui si impara da solo”. Eppure leggeva, scriveva, traduceva le lingue straniere.
LA VITA - Vittorini nasce il 23 luglio del 1908 a Siracusa. Il padre, a causa del suo lavoro, si sposta lungo la Sicilia, portando con sé la famiglia. Elio, adolescente irrequieto, inizia a viaggiare sin da piccolo. Si allontana da casa, spesso, per esplorare luoghi nuovi e sconosciuti. A sedici anni, stanco della scuola di ragioneria, abbandona per sempre la Sicilia. E’ il 1924.
Impiegato a Gorizia, si lascia catturare dalla formazione culturale nelle letture di Proust, Joyce e Kafka. Si avvicina al Fascismo per la sua idea antiborghese. Nel 1927, grazie ad un intervento di Curzio Malaparte, viene preso come collaboratore a “La Stampa” e, dopo aver spedito a “La fiera letteraria” il suo primo racconto (Ritratto di re Gianpiero), ha la soddisfazione di vederlo pubblicato. Sposa nello stesso periodo la sorella del poeta Salvatore Quasimodo, Rosa, che gli darà l’anno successivo il primo figlio, Curzio. Sono i tempi in cui mette sotto la lente di ingrandimento il carattere “provinciale” della letteratura italiana con alcuni interventi sulla rivista “Solaria”.
SOLARIA - Il gruppo dei fondatori del giornale, in una Firenze che si erge a centro vitale della formazione italiana, più volte è tacciato di essere una sorta di embrione ideologico di un gruppo di antifascisti che comprendeva Eugenio Montale, Leone Ginzburg, Aldo Garosci o Sergio Solmi. A loro si aggiunsero altri intellettuali provenienti dalla rivista "La Ronda", come Riccardo Bacchelli. I due gruppi professavano visioni diverse del ruolo della letteratura nella società: i "solariani" agivano su una denuncia morale nei confronti della realtà contemporanea, i "rondisti" erano convinti di poter realizzare una civiltà letteraria autonoma al di fuori dei compromessi politici. ‘Solaria’ venne sottoposta più volte a censura e gli ultimi numeri del 1934 uscirono con due anni di ritardo. Quello di marzo-aprile del 1934, in particolare, pubblicò due scritti, Le figlie del generale (Enrico Terracini) e ‘Il garofano rosso’ dello stesso Vittorini, ritenuti offensivi per la morale e il buon costume. Vennero tolti dalle edicole con decreto prefettizio.
FINO ALLA GUERRA - Nel 1931 vede la luce, sempre grazie a Solaria, ‘Piccola borghesia’, prima raccolta di racconti. L’anno prima, intanto, Vittorini era andato a vivere con la famiglia a Firenze, chiamato dal direttore della rivista che lo aveva assunto come segretario di redazione. Al fatto di essere un "solariano", colloca anche la sua posizione individuale di "fascista di sinistra", vicino alle posizioni di Romano Bilenchi o Vasco Pratolini. Usa frequentare il caffé delle “Giubbe Rosse” e matura la sua passione per la cultura e la lingua anglosassone. Impara l'inglese e intraprende la carriera di traduttore, che negli anni gli permetterà di lavorare a stretto contatto con il mondo editoriale, sia come collaboratore che come direttore di importanti collane.
Dopo la nascita del figlio Demetrio (1934), avviene un fatto che sconvolge la gioventù europea di quel periodo: lo scoppio della guerra civile in Spagna. Vittorini progettò con Pratolini di raggiungere i repubblicani spagnoli e sulla rivista "Bargello" (fondata da Alessandro Pavolini) scrive un articolo in cui sprona i fascisti italiani ad appoggiare i repubblicani contro Franco; ciò gli causò l'espulsione dal Partito fascista (la versione è del Vittorini stesso). Negli anni che vanno dal 1938 al 1939 uscì a puntate, su 'Letteratura', il romanzo ‘Conversazione in Sicilia’ che sarà pubblicato in volume nel 1941, prima dall'editore Parenti e poi da Bompiani con il suo titolo originale.
Proprio dalla Bompiani ricevette quindi un incarico editoriale e, nel 1939, si trasferì a Milano dove diresse la collana "La Corona" e fu curatore dell'antologia di scrittori statunitensi ‘Americana’, che a causa della censura fascista venne pubblicata nel 1942 e con tutte le note dell'autore stralciate.
UOMINI E NO - Il secondo conflitto mondiale e la guerra di Resistenza vedono lo scrittore molto impegnato: si occupa della stampa clandestina (arrestato, finisce a San Vittore) e partecipa alla mobilitazione dei partigiani. Questa esperienza si traduce, nell'immediato dopoguerra, nella pubblicazione di Uomini e no (1945), punto di vicinanza con il Neorealismo per l'ambientazione nel periodo della Resistenza e per la scelta di raggiungere uno stile immediato.
Mentre scrive il romanzo, Vittorini è inseguito, nascosto dalle montagne. Contribuisce alla lotta di Liberazione raccontando quella sua esperienza straziante e totale. Narra sopratutto l’uomo, il suo dramma interiore. Tratteggia e affresca l’immagine dell’individuo che rifiuta e si ribella in un frangente tragico come quello di una guerra civile, dove, come descrive bene il titolo, tutto si compenetra tra una componente umana ed una bestiale, nelle molteplici sfumature che si irradiano in chi si batte per liberare il suo paese, vedendo nel suo nemico solo qualcosa da distruggere, e nel giovane operaio che, riconoscendosi negli occhi del nemico, abbraccia un’ umanità che fa da premessa ad una speranza superiore: superare la guerra, fino a coinvolgere gli ideali di fratellanza.
DOPOGUERRA, PCI, RADICALI - La guerra finisce. Nel 1945 Vittorini è direttore dell’”Unità” e fonda “Il Politecnico”, esperienza che smuove il dibattito sulla cultura italiana fino al dicembre del 1947, a causa di scontri ideologici con la posizione di Togliatti e, nel complesso, del Partito Comunista Italiano.
Sul ‘Politecnico’ Vittorini riprese gli appelli per una cultura che liberasse dalla sofferenze, dichiarando fallite le culture antifasciste che non avevano saputo prevenire la seconda guerra mondiale e i suoi orrori. Scriverà: “Di chi è la sconfitta più grave in tutto questo che è accaduto? Vi era bene qualcosa che, attraverso i secoli, ci aveva insegnato a considerare sacra l'esistenza dei bambini. E se ora milioni di bambini sono stati uccisi, se tanto che era sacro è stato lo stesso colpito e distrutto, la sconfitta è anzitutto di questa «cosa» che c'insegnava la inviolabilità loro. Non è anzitutto di questa «cosa» che c'insegnava l'inviolabilità loro? Questa «cosa», voglio subito dirlo, non è altro che la cultura: lei che è stata pensiero greco, ellenismo, romanesimo, cristianesimo latino, cristianesimo medioevale, umanesimo, riforma, illuminismo, liberalismo, ecc”. “Non vi è delitto commesso dal fascismo – continuava - che questa cultura non avesse insegnato ad esecrare già da tempo. E se il fascismo ha avuto modo di commettere tutti i delitti che questa cultura aveva insegnato ad esecrare già da tempo, non dobbiamo chiedere proprio a questa cultura come e perché il fascismo ha potuto commetterli?”.
Vittorini ruppe con Togliatti per queste riflessioni, ma anche quando scoprì che la mancanza di libertà di pensiero nel mondo comunista era un problema. Dirà, nel 1950, ad un gruppo di operai: “Io mi sono rovinato il fegato a dirigere “Politecnico”. Chi lo voleva in un modo e chi lo voleva in un altro. E se ho smessi d’un tratto di pubblicarlo non è stato per ragioni economiche, ma anche perché mi riusciva sempre più difficile di mantenerne l’indipendenza culturale di fronte a troppi funzionari che avrebbero voluto trasformarlo in un organo di pure obbedienza divulgativa”. L’attività di romanziere intanto procede: del 1947 è ‘Il Sempione strizza l'occhio al Frejus’, e nel '49, ‘Le donne di Messina’.
Sono gli anni del progressivo distacco dal PCI, dicevamo. Scollamento che si accentuò, dopo la lavorazione del romanzo ‘Le città del mondo’ (pubblicato postumo), e ‘Erica e i suoi fratelli’, quando scoppiarono i fatti d'Ungheria, con l’invasione dei carri armati del governo sovietico per reprimere il nuovo corso a Budapest.
Nel 1951 Einaudi gli affida la cura della collana di narrativa “I gettoni”, grazie alla quale farà esordire alcuni talenti nascenti: Carlo Cassola, Beppe Fenoglio, Mario Rigoni Stern, Leonardo Sciascia. Continua ad occuparsi del ruolo della cultura nella società moderna e fonda con Italo Calvino la rivista "Il menabò". Iniziò nel 1960 a dirigere la collana "La Medusa" e nello stesso anno scrisse un manifesto per protestare contro la guerra e la tortura in Algeria, anticipando i temi dei diritti umani con la sua candidatura nelle liste radicali del PSI. Nello stesso anno divenne presidente del Partito Radicale, nato dalla sinistra del PLI per iniziativa di Ernesto Rossi e Marco Pannella. Sono anni di tensioni ed aspirazioni, ma anche degli accenni che lo portano alla malattia. Operato di cancro, ha una ricaduta poco tempo dopo che lo porta alla morte. Si spegne il 12 febbraio 1966, a Milano.
Così finì l’esistenza terrena di un uomo che visse le tensioni ideali del Novecento tutte e per intero, vedendone in parte la fine e in parte scorgendone la morte prossima. Mai rinunciò, da Ragusa a Gorizia, da Firenze a Milano, i luoghi in cui visse, al suo amore per la libertà, fisica e mentale, democratica e progressista. Fu libertario d’animo, in fondo, ma sopratutto un grande romanziere e un conoscitore profondo della letteratura che in quegli anni portava avanti nuove idee nel suo tempo attraverso un respiro internazionale che favorì con entusiasmo.
‘Uomini e no’ rappresenta il suo apice più conosciuto, per il fatto di essere ancora attuale nelle sue pulsioni recondite, nell’indagine dell’animo umano e delle sue reazioni, alla ricerca di quei valori necessari per costruire un’umanità diversa.
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