ACCADDE OGGI – Il 22 Luglio del 1968 muore a Cervia l’ideatore del ‘Mondo piccolo’ di Don Camillo e Peppone, figure passionali di un’Italia ancora tradizionale

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Giovanni Guareschi ha passato una vita dentro i paradossi. Prigioniero dei campi di concentramento tedeschi, fu messo alla berlina dalla cultura di sinistra come un 'fascista' (ma era monarchico); contribuì alla vittoria della Dc alle elezioni del 1948 (e poi fu incarcerato dopo una querela di Alcide De Gasperi). Ma sono solo due degli episodi di una vita importante, che fece di questo uomo della ‘Bassa’ un punto di riferimento per una parte di italiani del dopoguerra, dando origine ad una delle sue storie più amate, ovvero il ‘duello’ in fin dei conti bonario e leale tra Don Camillo e Peppone,

Nato il 1° maggio del 1908 (uno strano scherzo del destino per uno che le sinistre le fustigò ironicamente tutta la vita) a Fontanelle di Roccabianca, Giovanni iniziò a fare il giornalista presto. Il lavoro lo portò a Milano, in quella capitale economica dove già si correva a doppia velocità rispetto al resto d’Italia. Collaborò con la rivista umoristica (in qualità di illustratore) "Bertoldo", una fucina di campioni (ne citiamo alcuni: Marcello Marchesi, Walter Molino, Giacinto "Giaci" Mondaini (padre di Sandra), Federico Fellini, Saul Steinberg - che dovette lasciare la testata nel 1938 per la promulgazione delle leggi razziali - Achille Campanile, Leo Longanesi, Mino Maccari) dentro la quale rischiò si essere preda delle possibili censure del regime fascista. Sono gli anni del consenso del Duce,  ma anche della disillusione e della fine del Regime. Uno spazio storico, quello tra il 1936 al 1943, che racconta un'intera nazione. “Bertoldo” era diretto da Cesare Zavattini, intellettuale che cambiò profondamente il dopoguerra della cinematografia mondiale.

Dopo la partenza di Zavattini, a causa di forti contrasti interni, la direzione venne affidata a Giovanni Mosca con Giovannino Guareschi. La rivista divenne settimanale, con tirature di 500-600.000 copie. "Bastian contrario" per vocazione, Guareschi, contrapponendosi alla dilagante moda del momento che voleva le illustrazioni di eleganti figure femminili, iniziò a disegnare 'vedovone' grasse e per nulla sensuali. Il protrarsi della seconda guerra mondiale portò alla chiusura del "Bertoldo" nel settembre 1943, dopo un bombardamento anglo-americano che coinvolse il palazzo della Rizzoli.

Quando l'Italia firmò l'armistizio con le truppe Alleate, Giovanni si trovava in caserma ad Alessandria. Tenente di artiglieria, rifiutò di collaborare con i tedeschi: fu imprigionato. Finì nei campi di prigionia di Częstochowa e Beniaminów in Polonia e poi in Germania a Wietzendorf e Sandbostel, dove rimase due anni. Compose 'La Favola di Natale', racconto musicato di un sogno di libertà nel suo Natale da prigioniero. Descrisse il periodo di prigionia nel 'Diario Clandestino', il suo libro forse più intimo e riuscito.

Poi la guerra finì, ma per l’Italia si avviò un periodo intenso di trasformazioni: il Referendum tra Monarchia e Repubblica e, quindi, le infuocate elezioni politiche del 1948, dove c’era un destino da segnare. O di qua o di là del mondo. Ovest o Est. Area atlantica o Mosca. Bianchi o Rossi.

Dopo la guerra Guareschi fece ritorno in Italia e fondò, con Giovanni Mosca e "Giaci" Mondaini il settimanale "Candido". Oltre a fare satira, denunciò gli omicidi politici compiuti dai partigiani comunisti nel cosiddetto "triangolo della morte". "Noi chiamammo poco tempo fa l'Emilia "Messico d'Italia" - scrisse - ma ciò è ingiusto perché piuttosto si deve dire che il Messico è l'Emilia d'America. Cose terribili succedono a Castelfranco Emilia e gente ci manda lettere piene di terrore elencando assassinii. Quarantadue persone sono già state soppresse misteriosamente per cause di politica o di vendetta, in uno spazio di pochi chilometri quadrati, in piena pianura. E la gente sa, ma non parla perché ha paura".

Guareschi era monarchico. In occasione del referendum istituzionale del 2 giugno 1946 sostenne apertamente la Casa Reale e denunciò i brogli che secondo lui avevano ribaltato l'esito del voto. Nelle elezioni politiche del 1948 s'impegnò contro il Fronte Democratico Popolare (PCI-PSI). Coniò uno slogan storico, "Nel segreto della cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no", e il manifesto con lo scheletro di un soldato dietro i reticolati russi dove è scritto: "100.000 prigionieri italiani non sono tornati dalla Russia. Mamma, votagli contro anche per me". Due mine mediatiche dirompenti e convincenti per l’Italia dell’epoca. Tuttavia, dopo la larga vittoria della DC, Guareschi criticò anche lo scudo crociato, che secondo la sua opinione non seguiva i principi a cui diceva di ispirarsi.

Sono anni di attivismo e creatività, di denuncia e di politica – certo – ma anche della creazione di uno spunto geniale che fece innamorare gli italiani. Nel 1948 uscì infatti il primo romanzo su Don Camillo e Peppone, l'episodio di una saga ventennale in 346 puntate e 5 film conosciuti e tradotti in tutto il mondo. Un successo incredibile e ancora oggi godibile, seppur con i segni del tempo che fu.

Sul "Candido", parallelamente, condusse battaglie antigovernative senza risparmiare comunisti e socialisti. Nel 1954 finisce in carcere dopo aver pubblicato alcune lettere (ritenute false) dell'allora presidente del Consiglio Alcide De Gasperi. Entra nella casa circondariale di San Francesco a Parma il 26 maggio 1954 e ne esce il 4 luglio del 1955. 409 giorni trascorsi sotto stretta sorveglianza. Un caso unico nella storia d’Italia. Nel frattempo il suo "Mondo Piccolo" continuava a mietere successi.

Don Camillo e Peppone erano le figure contrapposte di due anime dell'Italia post-bellica. Il sacerdote rappresenta la figura dell'antifascista passionale, ma rispettoso dell’avversario, Peppone è il sindaco comunista ortodosso, ma sostanzialmente buono. Un paese in parte reale e in parte immaginario, figlio della  terra rurale e viscerale in cui era cresciuto l'autore.

Guareschi è sempre stato uno ai margini della critica e degli intellettuali, i quali tendevano a non considerarlo. Troppo semplice il linguaggio, si diceva, troppa ingenuità nei suoi scritti. Pagava in verità la sua idea politica, il suo essere fuori dal recinto. Solo successivamente fu "sdoganato". La rivista "Life" gli riconobbe di essere "il più abile ed efficace propagandista anticomunista in Europa".  Indro Montanelli (morto lo stesso giorno di Guareschi, il 22 Luglio, ma del 2001) di lui scrisse: "C'è un Guareschi politico cui si deve la salvezza dell'Italia. Se avessero vinto gli altri non so dove saremmo andati a finire, anzi lo so benissimo".

Nei primi anni sessanta Papa Giovanni XXIII, il Papa Buono, quello avversato dai conservatori perché ritenuto quasi un ‘comunista’ per la sua idea di cambiare la Chiesa, chiese a Guareschi di collaborare alla stesura del nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica. Lo scrittore declinò, non ritenendosi degno di tale onore. Prese poi una radicale posizione di contrarietà verso i governi di centrosinistra della metà degli anni sessanta. Accettò di collaborare con il quotidiano milanese "La Notte" e al "Borghese" di Mario Tedeschi. Realizzò il film “La Rabbia”, diviso in due parti: la prima curata da Pier Paolo Pasolini (e qui continuano a rincorrersi i cosiddetti ‘paradossi’) e la seconda da Guareschi, in un documentario montato con materiale di repertorio. "Perché la nostra vita è dominata dalla scontentezza, dall'angoscia, dalla paura della guerra, dalla guerra?", era la domanda. Il film venne travolto dalle polemiche. Pasolini ritirò la firma (Leggi: L’urlo solitario di Pier Paolo Pasolini, il poeta che intuì il pericolo presente), il film fu rapidamente tolto dalla circolazione per poi essere dimenticato.

Il mondo stava cambiando rapidamente. Soffiava il vento della contestazione giovanile e studentesca globale, che stravolse costumi e rapporti interpersonali. Proprio nel 1968, anno simbolo delle mobilitazioni, quasi simbolicamente, morì a Cervia a causa di un attacco cardiaco. I suoi funerali, dove non mancò la bandiera sabauda, furono disertati da molti ma non da Enzo Biagi ed Enzo Ferrari. Allo scrittore italiano tra i più venduti e letti al mondo furono dedicati pochi secondi di telegiornale. L'"Unità" parlò di "melanconico tramonto dello scrittore che non era mai nato". Se ne andò sostanzialmente in un mondo che non era più il suo. Era diversa la società in cui lui aveva saputo interpretare gusti e sensazioni. Troppo veloce stava mutando  -antropologicamente - il popolo italiano per stargli dietro. 

Guareschi dava 'fastidio' a tutti. Ha buggerato il potere, ha messo al centro l’uomo – nei suoi scritti - al di là di ogni ideologia. Aveva dei saldi principi, una grande personalità, pendeva spunto dalla realtà per i suoi personaggi, che infatti – come nel caso di Don Camillo e Peppone (ispirati da figure vere della sua infanzia) – alla fine sembravano veri e riconosciuti come tali. Diceva quello che pensava. Oggi, con la classe politica che ha l’Italia, probabilmente inviterebbe tutti a non vivere in greggi, a non farsi condizionare, a non seguire il pensiero unico (che è anche di quelli che fanno di professione gli ‘irregolari’).

Merita il posto d'onore che gli è stato attribuito con il tempo e che ancora oggi ispira tesi di laurea e l'interesse dei giovani.